Era l’anno dei mondiali, quelli (non indimenticabili) del 2010. La “regina” dell’università era Maria Stella Gelmini che a dicembre vedeva finalmente in dirittura d’arrivo la legge con il suo nome. Gianfranco Fini aveva lasciato intendere che questa era l’ultimo provvedimento che si sarebbe votato assieme all’allora maggioranza prima di aprire le ostilità. In un video (vedi minuto 0,56) Maria Stella spiegava agli studenti che manifestavano nelle piazze come la sua “riforma” sarebbe servita a ridurre il potere dei cosiddetti “baroni”, e il primo esempio era la limitazione del mandato dei rettori ad uno soltanto.
Come mai sui tetti a protestare c’erano i ricercatori (e anche Antonello Venditti…) ma non i “magnifici”? Probabilmente perché contestualmente era previsto l’allungamento da quattro a sei anni del loro mandato, senza nuove elezioni. In pratica, molti rettori si sono ritrovati un bonus di due anni quando non avrebbero potuto neppure ricandidarsi. Sapienza, che rappresenta circa il 10% del sistema universitario italiano, è stata una delle università che hanno beneficiato dell’estensione. Un periodo di sei anni è molto lungo, e considerando anche gli enormi poteri che la legge Gelmini attribuisce al rettore, una scelta oculata è indispensabile.
Terminato il mandato del Rettore Luigi Frati, il 30 maggio si sono chiuse le candidature. Ci sono sei “aspiranti magnifici” presentati in ordine rigorosamente alfabetico.
Tiziana Catarci (1961, Ingegneria Informatica) è prorettore per le Infrastrutture e Tecnologia. La sua candidatura ha destato interesse perché è presentata come la prima donna che in 700 anni diverrebbe rettore della Sapienza.
Si passa quindi ai medici. Eugenio Gaudio (1956, Anatomia Umana) è il Preside della facoltà di Medicina. Come curiosità, spicca tra i suoi titoli anche il diploma di pianoforte al conservatorio con il massimo dei voti. Andrea Lenzi (1953, Endocrinologia) è il presidente del Cun, (il Consiglio Universitario nazionale). Il Cun è un organismo elettivo dei docenti universitari e si espresso a volte in modo molto critico contro Anvur (Agenzia Nazionale per la Valutazione del sistema Universitario e enti di Ricerca), il cui consiglio direttivo è invece di nomina ministeriale. A Sapienza circa il 32% dei docenti appartiene alla facoltà di Medicina per cui teoricamente un unico candidato proveniente da questa area avrebbe ottime possibilità di vincere. Due canditati “forti” rendono la competizione molto incerta.
Tra gli “outsider” ci sono Renato Masiani (1955, Preside della Facoltà di Architettura), che ha svolto una serie impressionante di incarichi istituzionali e Roberto Nicolai (1959, Letteratura Greca), Preside della Facoltà di Lettere e Filosofia, assunto dopo un lunghissimo periodo di precariato (laurea 1983, ricercatore solo nel 1995 anche se in soli sei anni è poi stato promosso a professore ordinario).
Infine, c’è Giancarlo Ruocco (1959, Struttura della Materia) attualmente prorettore alla ricerca, già direttore del dipartimento di Fisica il quale è riconosciuto come una delle punte di diamante della Sapienza e tra i migliori al mondo. Quanto può contare l’eccellenza scientifica nella capacità di gestire un ateneo?
Insomma sei “giovani” per il mondo universitario (l’aspirante rettore deve garantire almeno sei anni di servizio) essendo esclusi buona parte degli ultrasessantenni assunti nel “periodo d’oro” degli anni ’80, quando si verificò una massiccia immissione in ruolo di docenti con una minima selezione. Tutti candidati hanno avuto esperienze gestionali di massimo livello. Chi sarà eletto avrà l’enorme responsabilità di essere a capo dell’ateneo più grande d’Europa per un periodo lunghissimo, con i migliori auspici di guidarlo in modo ottimale. Nessuna riforma potrà avere maggiori effetti positivi sull’università rispetto ad una selezione oculata della governance. La responsabilità di una scelta cruciale per l’ateneo è nelle mani delle rappresentanze di studenti/personale tecnico-amministrativo, e dei docenti di Sapienza.