Nella sua intervista euro-buonista di questa mattina, Renzi dichiara la Germania un modello e ostenta stima per la Merkel, che “non è un nemico”. Ma, almeno teoricamente, sul pacchetto delle nomine, Italia e Germania possono ora trovarsi in campi diversi.
In realtà, le scuole di pensiero sulla presidenza della Commissione sono almeno tre, dopo che le elezioni hanno prodotto un Parlamento europeo in cui i popolari sono i più numerosi, davanti ai socialisti, ma dove né gli uni, che hanno perso quasi 60 seggi, né gli altri, che ne hanno perso una decina, possono davvero affermare di avere vinto. Sia i popolari che i socialisti avevano espresso un candidato alla presidenza della Commissione, il lussemburghese Juncker, ex premier ed ex presidente dell’Eurogruppo, e il tedesco Martin Schulz, presidente uscente del Parlamento. Anche liberali, verdi e sinistra radicale avevano loro candidati, ma hanno preso un quinto dei seggi di popolari e socialisti.
C’è il partito del ‘rispetto del voto’ di cui s’è fatto recentemente interprete, fra gli altri, Lorenzo Bini Smaghi su La Stampa: gli elettori sono stati interpellati, anche se magari molti di essi non erano consci che votavano anche per esprimere una preferenza per il presidente dell’esecutivo e del loro parere bisogna tenere conto.
C’è il partito del “si scelga il meglio”, e né Juncker né Schulz lo sono, perché al più rappresentano l’usato sicuro di questa Unione. Tesi suggestiva, anche se, poi, alla prova dei fatti, il meglio è relativo all’interesse di ciascuno: così, per i britannici, che s’iscrivono in questo partito, il meglio è un presidente quanto più scolorito e quanto meno europeista possibile. Il premier svedese Fredrik Reinfeldt vuole riunire il 9 giugno un ‘mini-vertice’ con la Merkel, Cameron e l’olandese Mark Rutte, per portare avanti questa tesi.
Infine, c’è il partito che scarta Juncker e Schulz, perché né l’uno né l’altro hanno vinto le elezioni, e punta a legare tutte le scelte in un unico pacchetto, sul quale Renzi possa mediare, essendo l’Italia dal 1 luglio alla presidenza di turno del Consiglio dell’Ue.
Perché, di qui alla fine dell’anno, di posti da riempire l’Unione europea ne ha un sacco: il presidente della Commissione, e tutti i membri dell’Esecutivo, ovviamente anche l’italiano; il presidente del Consiglio europeo, dove il belga Herman Van Rompuy va esaurendo il mandato; l’alto commissario per le politiche estera e di sicurezza comuni, con la britannica Catherine Ashton a fine corsa; il presidente dell’Eurogruppo, dove il ministro olandese Jeroen Dijsselbloem pare avere il fiato corso.
Un discorso a parte è quello del presidente dell’Assemblea di Strasburgo, che gli eurodeputati eleggeranno alla loro prima plenaria, all’inizio di luglio, quando Renzi presenterà al Parlamento il programma della presidenza italiana.
Per mediare, l’Italia sarebbe in posizione privilegiata: presidente di turno e senza ambizioni in proprio, perché la presenza di Mario Draghi alla presidenza della Banca centrale europea esclude, in linea di massima, che ci tocchino fette della torta.
In attesa dei giochi che contano, l’Italia è, però, per il momento, senza commissario nell’esecutivo di Bruxelles: Antonio Tajani, eletto a Strasburgo, è ormai fuori e va sostituito. Con chi? La parola, qui, spetta solo a Renzi: può tappare il buco subito; o aspettare tenendosi la mossa in serbo sulla scacchiera delle nomine.