Tra meno di due settimane partono i mondiali di calcio in Brasile, che oltre a regalarci uno spettacolo sportivo di prima classe ci offrono la possibilità di sapere di più nei confronti di una nazione emergente, parte dei celeberrimi BRIC (Brasile, Russia, India Cina). Il Brasile, si sa, è la nazione che ha vinto più coppe del mondo in assoluto, quindi ci sarebbe da aspettarsi che i mondiali siano un evento popolarissimo, fonte di orgoglio nazionale. Ed invece non è proprio così.

Dal 2007, da quando il Brasile si è assicurato i mondiali del 2014, “l’indice di gradimento” di questo evento è sceso dal 75 al 48 per cento, oggi meno della metà della popolazione pensa che sia stata una buona mossa ospitare i mondiali. Ai brasiliani appare assurdo che il governo abbia speso 11 miliardi di dollari e mezzo, di cui circa 3,6 miliardi provenienti dall’erario pubblico, per allestire i mondiali quando nel paese mancano i servizi sociali fondamentali, dalla sanità alla scuola. La notizia, poi, che questi saranno i mondiali più costosi della storia, ha provocato un’ondata di protesta.

Le critiche mettono in luce un sistema economico corrotto, asfissiato dall’eccessiva burocrazia e controllato dal grande capitale. Questa miscela ha fatto sì che gli sprechi siano stati  quasi tanto frequenti quanto le promesse non mantenute. Ad esempio, il governo ha insistito per ubicare le partite in una dozzina di città, quando la stessa FIFA aveva ne suggerito massimo 8. Stadi  giganteschi sono sorti, simili a cattedrali nel deserto, in piccoli centri urbani privi di squadre locali famose e dei tifosi per riempirli. Quello costruito a Manaus, nell’Amazzonia, ha una capienza di 39 mila persone quando nelle partite locali il numero massimo di spettatori è 1.500. Dietro la costruzione degli stati c’è una macchina infernale di politici corrotti e di architetti e società di costruzioni a loro legati.

Ma non basta, gran parte delle infrastrutture di cui in futuro avrebbe dovuto beneficiare la popolazione, e che hanno giustificato l’uso di 3,6 miliardi di dollari provenienti dalle tasse dei brasiliani, non sono state costruiti. L’alta velocità che doveva collegare Rio de Janeiro a Sao Paulo per un costo di 16 miliardi di dollari non si è mai materializzato.

La rabbia contro le spese e gli sprechi dei mondiali, esplosa lo scorso anno nelle strade del Brasile, è anche alimentata dal rallentamento della crescita economica. Nel 2007 il tasso di crescita era del 7,5 per cento, oggi l’economia fa i conti con una recessione quasi quinquennale. Secondo il governo i mondiali inietteranno nell’economia nazionale circa 11,1 miliardi di dollari, grazie alla pubblicità ed alle spese dei tifosi; daranno anche lavoro a quasi 400 mila persone. I critici, tra cui le agenzie di certificazione come Moody, fanno notare che si tratta di occupazione stagionale e che l’impatto sull’economica brasiliana sarà minimo. I mondiali non compenseranno la contrazione legata all’eccessivo indebitamento della giovanissima classe media, la caduta del gettito fiscale legata a questo fenomeno, né risolveranno il problema della corruzione e dell’eccessiva burocrazia.

Peccato che sia tardi per tornare indietro e che il Brasile dovrà anche fare i conti con le Olimpiadi del 2016.

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