A Strasburgo il voto in dissenso dai colleghi non fa scandalo. Quello che conta è il numero dei componenti: più sono, più incarichi e relatori si otterranno. L'ex eurodeputato Vittorio Agnoletto spiega i "segreti" di un Parlamento che ha logiche completamente diverse da Montecitorio
Il punto non è la libertà di voto rispetto al gruppo di appartenenza, prerogativa intoccabile di tutti i parlamentari, compresi quelli europei. E neppure l’ideologia, che ha poco spazio nelle discussioni tra i banchi di Strasburgo. Nel Parlamento europeo, che ha logiche completamente diverse da Montecitorio e dalle altre camere nazionali, a contare sono soprattutto le dimensioni dei gruppi (più grandi sono, più incarichi e relatori di provvedimenti ottengono) e la coesione interna sui dossier che saranno discussi nella legislatura appena avviata (per esempio l’accordo Ttip di libero scambio Ue-Usa, le politiche di austerità, il ruolo della Bce). Vittorio Agnoletto, parlamentare europeo dal 2004 al 2009 nel gruppo di sinistra Gue/Ngl, prova a fissare le coordinate strettamente tecniche che dovrebbero guidare la scelta del gruppo a cui iscriversi, problema che in queste ore attanaglia il Movimento 5 Stelle e il suo nutrito pattuglione di 17 euro-eletti.
“La prima cosa da capire è che il Parlamento europeo è del tutto diverso da quelli nazionali: non c’è governo, non c’è maggioranza, non c’è minoranza, almeno nel senso in cui li intendiamo di solito”, spiega Agnoletto. “Il funzionamento dell’aula è interamente determinato dal peso numerico dei singoli gruppi”. In ciascuna commissione, i relatori delle direttive e delle leggi d’iniziativa parlamentare o popolare vengono assegnati con un sistema matematico strettamente proporzionale (il metodo D’Hondt utilzzato anche nei sistemi elettorali per attribuire i seggi). Il gruppo più numeroso avrà più incarichi e una priorità nella loro assegnazione. Starà poi al relatore stendere il testo in modo da “costruirsi” una maggioranza che lo approverà.
“Il singolo parlamentare può votare tranquillamente in difformità dal gruppo, succede spesso, proprio perché i gruppi sono formati da partiti diversi”, continua Agnoletto. Il contingente dei 5 stelle, però, ha dimensioni tali da mutare gli equilibri. L’Efed di Farage è attualmente il settimo gruppo per grandezza, ma con i grillini diventerebbe il quarto. I Verdi sono ora il quarto, ma con i 17 pentastellati diventerebbero il terzo. “Fatta salva la libertà di voto del singolo eurodeputato, un gruppo che si spaccasse in modo vistoso su ogni votazione andrebbe incontro a seri problemi”, spiega ancora Agnoletto. “Se cominciasse ad andare sotto anche sui provvedimenti presentati dai propri relatori, diventerebbe inaffidabile e faticherebbe a vedersi assegnare altri incarichi”.
Ecco perché le affinità alla fine contano, ma “più quelle pragmatiche che quelle ideologiche”. Perché i dossier più importanti di questa nuova legislatura s0no già noti, ed è su quelli che il parlamento di Strasburgo sarà chiamato a pronunciarsi, più che su massimi sistemi come “sì o no all’euro”. I dossier sono per esempio l’accordo Ttip (Transatlantic Trade and Investment Partnership) tra Ue e Stati Uniti, il ruolo della Bce, in prospettiva l’unione fiscale e bancaria. Detto tutto questo, da ex europarlamentare e da conoscitore della politica italiana, quale sarebbe secondo Agnoletto la giusta collocazione del Movimento 5 Stelle a Strasburgo? “Lì il lavoro parlamentare conta più dei proclami dei leader. E se guardo all’attività del Movimento nel Parlamento italiano, per esempio sulla Bossi-Fini, vedo un Dna democratico e innovativo. Quanto a Grillo, 15 anni fa sosteneva la mia battaglia contro gli abusi delle multinazionali del farmaco in Africa. L’alleanza con Farage, secondo me, sarebbe contronatura”.