Le ultime uscite che sono arrivate al top sui social network parlano dell’istituzione di quartieri a luci rosse, nella Capitale, per togliere le prostitute dalla via Salaria (“una questione di decoro”), oppure di far diventare il Colosseo teatro dei matrimoni vip per alzare un po’ di soldi, cosa che ha fatto arricciare il naso al ministro Dario Franceschini (“Un’idea bizzarra e stravagante”). Più passano i giorni, insomma, più Roma Capitale appare una città lasciata a se stessa e più nel Pd romano e renziano del Nazareno nessuno scommette più sul fatto che Ignazio Marino possa durare a fare il sindaco ancora per quattro anni.
Il gelo con il Pd, volato in città al 43% con le elezioni europee, sta complicando la vita del primo cittadino. Ai ferri corti con il Nazareno da ben prima che Renzi lo prendesse da parte e lo richiamasse alla calma quando aveva dato in escandescenze per via di un’improvviso stop parlamentare sul decreto Salva Roma, ora Marino appare ancor più assediato per via di scadenze che incombono e alle quali non riesce a trovare risposta. Scadenze economiche. Entro metà giugno dovrà presentare a Palazzo Chigi un piano di risanamento delle magre casse della Capitale, ma il documento ancora latita. Per dire: in pieno marasma sulla questione della vacanza dell’assessorato al Bilancio, dopo le dimissioni di Daniela Morgante, Marino ha preferito volare a Boston per un convegno sulla mobilità sostenibile. Solo al ritorno ha annunciato che sulla delicata poltrona della Giunta siederà Silvia Scozzese, responsabile finanze locali dell’Anci. Ed è già tempo di rimpasto, nella Giunta capitolina, sotto l’occhio vigile di Renzi che non vuole che la partita romana si trasformi nella sua prima sconfitta politica sul territorio; non se lo perdonerebbe e, soprattutto, non lo perdonerebbe a Marino.
L’ex chirurgo a capo di Palazzo Senatorio, insomma, traballa sempre più. Per dire, ancora: solo pochi giorni fa giustificava il rinvio del pagamento della Tasi con le lentezze di un consiglio Comunale poco smart nell’approvare la manovra di bilancio per il 2014. Anzi, se fosse stato per lui il bilancio sarebbe stato approvato entro maggio, magari due giorni prima delle Europee. Figurarsi. Il bilancio, presentato dalla giunta per l’approvazione, già prevede tagli per 84 milioni. Non solo: la stagione dei tagli non è affatto circoscritta a questa cifra. Secondo quanto riportato qualche giorno fa dal Messaggero, all’allegato 2014-2016 della manovra approvata dalla giunta il 30 aprile c’è un chiaro riferimento ad un vistoso calo delle entrate previste per il 2015, contrazione dovuta all’impossibilità di rimettere a bilancio i 280 milioni che il decreto Salva Roma attribuiva alla Capitale sotto forma di restituzione di prestiti dalla gestione commissariale del debito. A questi mancati introiti potrebbero aggiungersi quelli per la mancata vendita degli immobili del Comune. Se le cose stanno così si dovrebbe ri-adottare la indigesta medicina proposta dall’assessore (defenestrata) Morgante, fatta di sostanziosi risparmi strutturali e interventi drastici sulle municipalizzate. Uno scenario plumbeo, che vede, in buona sostanza, il futuro di Roma ancorato al piano di rientro triennale dal debito (che dovrà essere presentato a Renzi) cui sta lavorando la mitica cabina di regia che ai primi di luglio emetterà un verdetto che non comporterà forse lacrime e sangue, ma sicuramente un’altra vigorosa stretta di cinghia.
Intanto, dopo il risultato delle Europee, Marino sta per dare il via alla “fase due” del suo governo. Con un rimpasto. Incassate le dimissioni dell’assessore alla Cultura, Flavia Barca, si punta ora ad un passaggio dal significato marcatamente politico. Al posto della Barca si parla di Giovanna Marinelli, ex Eti ed ex Teatro di Roma, già collaboratrice storica del compianto Gianni Borgna. Ma un cambio più profondo smuoverebbe diversi tasselli del mosaico di Palazzo Senatorio, a partire dal ruolo di vice sindaco. Qui il buon risultato ottenuto a Roma da Sel, con la lista Tsipras, rafforza la posizione di Luigi Nieri. Ma l’area vincente del Pd reclama spazio, e quel posto potrebbe andare alla renziana doc Lorenza Bonaccorsi (molto vicina al sottosegretario Luca Lotti, uno dei collaboratori più stretti di Renzi) o al presidente del consiglio comunale Mirko Coratti, che con l’area popolare si è avvicinato molto al premier. Altro renziano che potrebbe veder riconosciuto il suo ruolo è Fabrizio Panecaldo, attuale coordinatore della maggioranza capitolina, che potrebbe entrare nell’esecutivo comunale o succedere a Coratti sullo scranno più alto dell’aula Giulio Cesare. In giunta potrebbe entrare anche Patrizia Prestipino, seguace della prima ora dell’ex sindaco di Firenze: per lei ci potrebbe essere l’assessorato allo sport, qualora Luca Pancalli decidesse di lasciare l’incarico per dedicarsi ad altro. Destinata a uscire dalla squadra di Marino è anche Rita Cutini: di politiche sociali potrebbe occuparsi così Daniele Ozzimo, in un valzer di deleghe che comprenderebbe anche Paolo Masini e Alessandra Cattoi. Insomma, un’iniezione di renziani doc per blindare, almeno per qualche tempo, la permanenza di Marino in Campidoglio. E’ solo che, nonostante gli sforzi, Matteo Renzi proprio non ce la fa a fidarsi del sindaco di Roma. Questa del rimpasto (a giorni) è dunque l’ultima chiamata per il sindaco poi, se non riuscirà a tenere insieme neppure questa nuova compagine, senza risultati sostanziali dal punto di vista del risanamento, arriverà il commissario. Che nella mente di Renzi ha già un nome e un volto, quello del sottosegretario al Tesoro Giovanni Legnini, un bersaniano di ferro, certo, ma come sa far di conto lui, ce ne son pochi…