Terza opera del duo romano. Chitarra, batteria e un'energia incendiaria tra Jimi Hendrix, il grunge e Jack White. Il batterista Cesare Petulicchio: "Mi hanno sempre attratto gli artisti istintivi ed esplosivi"
Chi ha assistito a un loro live comprende perfettamente a che cosa si riferisca quell’”esplosione” che portano nel nome, miscela incendiaria di alternative rock, punk, atmosfere grunge e radici ben salde nel blues, primo amore di Adriano Viterbini e Cesare Petulicchio, aka Bud Spencer Blues Explosion. Chitarra e voce (Viterbini) e batteria (Petulicchio) che dal palco sono un’ondata di energia allo stato puro. Un nome che è anche perfetta sintesi del loro animo musicale più profondo, con quel riferimento ai Blues Explosion di Jon Spencer e all’epopea americana per eccellenza tradotta nello spaghetti western in salsa italica. Dopo uno stop di due anni i BSBE tornano con il loro terzo disco, “BSB3”, in uscita il 3 giugno.
In copertina, l’iconografica rappresentazione del triangolo della Trinità che si trasforma in un dissacrante tramezzino, irriverente mescolanza di alto e basso (“Il blues ha una forte impronta spirituale: ma volevamo pure prendere in giro l’incontrollata esplosione di sedicenti sette ed esoterismi vari” dice Cesare). Un disco con una genesi singolare, testato direttamente sul pubblico con un tour di dieci date che i BSBE hanno chiamato “This is not a show”, in omaggio a quello che i Rem sperimentarono nel 2007 per promuovere i brani che avrebbero poi fatto parte dell’album “Accelerate”. Dopo 5 anni di tour quasi ininterrotto i due si sono presi una lunga pausa di due anni per scrivere il nuovo disco. Poi il richiamo del palco prima della release è stato irresistibile: “Siamo prima di tutto una band live” racconta Cesare “e il riscontro del pubblico è importante, non perché si debba essere schiavi delle aspettative dei fan ma perché solo così capisci se riesci a comunicare quello che avevi immaginato. È stato divertente vedere le reazioni differenti del pubblico da nord a sud: anche sulla base di questo abbiamo deciso la tracklist”.
L’esigenza primaria è stata quella di riprodurre su disco le atmosfere adrenaliniche dei famosi concerti del duo: per farlo i BSBE si sono affidati per la prima volta ad un produttore musicale come Giacomo Fiorenza, già collaboratore di tanti gruppi della “vecchia guardia” della musica indie italiana con una forte identità live, dai Giardini di Mirò ai Julie’s Haircut. Registrazione in presa diretta, pochissime sovraincisioni e nessun tipo di editing: il risultato sono undici tracce dal suono immediato e sincero, a tratti ruvido e con un suono orgogliosamente vecchio stampo, ben saldo nei riferimenti musicali di sempre, dal rock blues agli anni Novanta del loro apprendistato, artistico e non solo.
“È indubbio che il grunge sia stata l’ultima grande rivoluzione, musicale e sociale, come era stato il punk per gli anni Settanta” dice Cesare. “È stato il primo genere musicale in cui un’intera generazione poteva rispecchiarsi completamente: non c’erano le grandi rockstar a suonare, si aveva la sensazione che sul palco potessero esserci i tuoi amici. Credo che la morte di Kurt Cobain sia stata in qualche modo la prima esperienza di lutto che ho vissuto, la sensazione era che a suicidarsi fosse stato un coetaneo. Il grunge ha rotto la distanza tra chi stava sopra e sotto al palco, ed anche questa è un’eredità che i BSBE hanno cercato di raccogliere”. Cobain, ma pure Jimi Hendrix e Jack White nella triade musicale dei BSBE. “Credo che mi abbiano sempre attratto quegli artisti che hanno vissuto la musica come liberazione e istinto puro” racconta Cesare. “Artisti con un approccio esplosivo, totale, nervoso e punk, la chitarra di Jimi Hendrix che brucia e il gong di Roger Waters che mi sono tatuato addosso. Jack White è forse uno degli ultimi rivoluzionari della musica, anche lui istintivo e viscerale come pochi altri”.
Lo stesso Jack White che è stato anche il modello per una scelta insolita in territorio nostrano come quella di un duo chitarra e batteria. Ancora una volta, l’America: “C’erano i White Stripes, ma anche i Black Keys, che Adriano vide nel 2007, durante un viaggio a New York, rimanendone folgorato” racconta Cesare. “Così al suo ritorno per due mesi facemmo delle lunghe jam per capire se poteva uscire un suono ed un’identità di band dalla combinazione dei due strumenti. Ci siamo poi accorti che in duo è molto più facile improvvisare, una delle cose che più ci diverte fare ai concerti, e che compensa la maggior fatica di gestire un tour in due anziché in quattro o cinque”. Tutte le date del tour sono sul sito di Dna Concerti.