Oggi pare che il “riciciclo” non basti più, bisogna “rottamare”! Ecco la parola chiave di questi ultimi anni. Bisogna fare tabula rasa del passato per riconsegnarsi a un presente, o meglio a un futuro, diversi, nuovi, e soprattutto “più giovani”. È lo slogan che sta avendo maggior presa: l’Italia deve cambiare, smettere coi suoi dei del passato e credere in altro. Il 40 per cento dei consensi portati a casa dal Pd e quindi da Matteo Renzi in queste ultime elezioni europee, sembra accordarsi a questa visione delle cose.
Ma al mattino, quando prendo i mezzi pubblici o quando per altre occasioni mi trovo in mezzo alla gente, davanti a me questo concetto di “rottamazione”, di rinnovamento assoluto senza compromessi, mi si palesa molto annacquato e per quello che è: semplicemente uno slogan. Magari le segretarie di ieri oggi lavorano in Amazon o in Google Italia, ma più che altro la loro abilità è stata di nuovo quella di riciclarsi, in questa “new-new” economy. I piccoli imprenditori dicono di credere molto nella rivoluzione dei sociali network, delle App e degli i-phone, ma in realtà incrociano le dita e sperano che tutto questo non faccia la fine della bolla economica dei primi anni ’90. Quindi alla rottamazione ci si crede, perché ci si deve credere ma, con ansia sempre crescente, si pretendono risultati: che arrivino da rottamazione o da un riciclo in fondo poco importa.
Credo sia evidente il piano di diffidenza da cui parto. Un sentimento che mi è mosso da anni e anni di delusioni e di questioni mai affrontate o di problemi sempre irrisolti. Sul fronte dei diritti civili non parliamo né di riciclo né di rottamazione, ma di una tabula rasa di soluzioni concrete che caratterizza questi anni di dibattito nel Paese. La novità, la vera rottamazione di un vecchio concetto di violenza di genere, che sarebbe dovuta attuarsi attraverso il Disegno di legge detto “Scalfarotto” contro l’omofobia, continua a vedersi rimpallato tra commissioni competenti e Parlamento, senza avere uno sfogo definitivo. Il “riciclo” di quelli che anni fa chiamavamo Pacs e Dico, in una legge quadro sulle unioni civili, che nel programma di Renzi abbiamo saputo chiamarsi “Civil partnership” (alla tedesca), nemmeno hanno potuto godere di un qualche primo dibattito alle camere. E pensare che sono due i disegni di legge pronti in commissione; il primo a firma del senatore Marcucci, il secondo del senatore Lumia. Ma stante questa abbondanza di proposte, di soluzioni concrete nemmeno l’ombra.
In ogni modo, il Partito democratico, del quale io stessa faccio parte, rottama se stesso per ridare alla sinistra italiana un nuovo protagonista, forte ma soprattutto giovane. Infatti il concetto di “rottamazione” con quello di gioventù crea un immediato parallelismo, naturalmente non per caso. La foto del trionfo dello scorso 25 maggio, fatta debitamente circolare per tutte le redazioni delle maggiori testate italiane, dà un’immagine plastica di tutto questo. Ma non mi sembra che in altre circostanze qualcuno abbia tenuto a mostrare un partito vecchio e datato. Ai tempi della “svolta della Bolognina”, quando il Partito comunista italiano veniva sciolto e vedeva la luce il Pds di Achille Occhetto, Massimo D’Alema, per esempio, aveva 40 anni tondi tondi, Walter Veltroni 34 appena. Uno come Graziano Del Rio, il reggiano lapiriano e cattolico, con un occhio attento al sociale e alla sua famiglia numerosa, ne ha 54 ed il “portavoce” Lorenzo Guerini, ex Dc, ex Margherita campione quindi del riciclarsi finalmente in un partito laico, ne ha 48.
Di giovani brillanti e capaci questo partito ne ha sempre avuti. E pure di slogan e di parole dette al vento, ciascuna per la sua stagione e per la sua epoca. A questo punto vorrei che un Pd ai suoi massimi storici in quanto a consensi, acquietasse la sua propaganda e cominciasse dai fatti. Magari premendo soprattutto su quei temi che erano nel programma e che oggi paiono dimenticati.