I 150 milioni che Renzi chiede alla Rai significano che il suo governo ha problemi a raccattare i soldi per riuscire a pagare gli 80 euro dati in busta paga agli italiani, mossa vincente per le elezioni Europee, ma alla lunga potrebbe rivelarsi un boomerang. La reazione di tutti i lavoratori della Rai, compreso i giornalisti, è stata quella di mettersi di traverso proclamando lo sciopero generale per l’11 giugno, decisione che saggiamente potrebbe rientrare nei prossimi giorni.
Questo ha fatto emergere, sempre che ce ne fosse il bisogno, quale è l’immagine della Rai tra la maggior parte dei cittadini: un’azienda che spreca denaro pubblico, e che nel momento in cui qualcuno la vuole toccare, gli stessi lavoratori si ergono in difesa dei tanti privilegi e disposti a difendere gli sprechi. Ovviamente così non è. Lo sciopero dell’11 andava fatto molto prima, all’epoca dell’editto bulgaro, della colonizzazione della Rai da parte di Berlusconi con l’impiego delle truppe cammellate provenienti dalla politica e dalla stessa Mediaset, contro certi direzioni che hanno portato alla fine del rapporto con Sky, a bilanci disastrosi e un debito di cassa di oltre 400 milioni di euro.
Sulla Rai Renzi chiede alla direzione generale di intervenire immediatamente lanciando slogan populisti: lotta agli sprechi; contemporaneamente si assiste che in difesa della Rai intervengono personaggi come Gasparri che nel corso degli anni, ha sostenuto con la sua legge esclusivamente gli interessi dell’ex Cavaliere. Si scopre solo ora che la Rai gode della protezione dei partiti, perché in questi anni tutti ne hanno tratto benefici. Bruno Vespa con il suo Porta a Porta è il simbolo di ciò. Lui “i vestitini su misura” li ha confezionati indistintamente, e tutti sono corsi verso il “terzo ramo del parlamento”; lo ha fatto anche Grillo che quella sera assomigliava più a un romano costretto a passare sotto le Forche Caudine che a un vero condottiero. Nulla è stato fatto all’interno della Rai quando, con l’editto bulgaro, è stato messo in discussione la libertà dell’informazione e quindi l’indipendenza del paese.
La Rai dovrebbe prendere al volo l’apertura di Renzi verso un cambiamento, e la protesta dovrebbe essere dirottata verso la riforma della tv e del mercato e in quel contesto i lavoratori dovrebbero pretendere la nascita di una nuova televisione regionale, come ci chiede, da anni, l’Unione Europea. E’ riduttivo pensare esclusivamente agli sprechi delle sedi regionali, all’accorpamento di alcune di esse e alla diminuzione del personale come soluzione. E’ vero che prendendo l’insieme dei giornalisti e dividendo per i minuti di tg prodotto il risultato è modesto, ma la colpa è editoriale non dei capiredattori o degli stessi redattori; è vero che il tg regionale rappresenta in alcune regioni un feudo politico, ma non è dappertutto così; è vero che ci sono realtà regionali dove la redazione è costretta ad appaltare all’esterno le riprese del tg, ma ci sono anche sedi, quella dell’Emilia-Romagna ne è un esempio (cito questa sede perché ne conosco direttamente la realtà) che, oltre a produrre il tg regionale lavora per i tg e i programmi nazionali più di alcuni Centri di produzione.
La tv regionale, attivando rapporti con le regioni e le facoltà universitarie di Scienze della Comunicazione, potrebbe diventare una grande palestra per giovani autori, registi, videomaker, documentaristi, piccole case di produzione, il ruolo che una volta era coperto dai programmi sperimentali che andavano in onda in terza serata. Credo che il dg Gubitosi pondererà bene prima di fare di ogni erba un fascio. Intervenire come vorrebbe Renzi su Rai Way si rischia di svendere un patrimonio. Solo dopo la riforma sarebbe giusto pensare alla quotazione in borsa di Rai Way, poi ad una privatizzazione di una quota minoritaria, ma non solo, la tv pubblica è l’unica che in Europa dispone di 14 canali. L’augurio è che chi interverrà sulla Rai lo faccia con l’obiettivo di renderla una grande azienda industriale a dimensione internazionale, capace di produrre come la Bbc, esattamente come era una volta, questo favorirebbe non solo la democrazia ma la nascita di un mercato finalmente libero.