L'11 giugno sarà ufficialmente presentato in una cerimonia ad Atene il progetto European antibullysm network. In Italia, nonostante i recenti casi di cronaca, si registrano meno casi rispetto ad altri paesi Ue
L’Europa si coalizza contro i bulli. L’11 giugno sarà ufficialmente presentata in una cerimonia ad Atene la prima rete europea contro il bullismo, la Ean (European antibullysm network). Per la prima volta gli Stati del Vecchio Continente si riuniscono per mettere fine al fenomeno della prevaricazione ripetuta ai danni dei bambini più sensibili o considerati diversi, per la forma del corpo, il colore della pelle o l’orientamento sessuale.
Una piaga che colpisce tutti i Paesi e aumenta con la crisi economica: la maggior parte dei bulli ha entrambi i genitori disoccupati. A dirlo è uno studio condotto dall’associazione greca “Il sorriso del bambino”, coordinatrice di Ean. “Abbiamo elaborato – spiega al fattoquotidiano.it Panagiotis Pardalis, portavoce del gruppo ateniese – un documento di strategia politica da adottare a livello europeo per affrontare il fenomeno; come prima cosa Ean stabilirà una persona giuridica a Bruxelles e là aprirà un ufficio. Dobbiamo identificare le fonti per finanziare i nostri progetti, attraverso i programmi dell’Unione”.
Intanto la fase preparatoria ha dato i suoi frutti: una guida che raccoglie le migliori pratiche; un docufilm di 52 minuti, “Bully diaries”, che esplora il fenomeno e le sue cause; la campagna per istituire una giornata europea contro il bullismo, 5mila le firme raccolte ad oggi. “Già 16 istituzioni di primo piano nella lotta al bullismo, provenienti da 12 Paesi europei, hanno mostrato la volontà di unirsi al network” aggiunge Pardalis. Tra i partner italiani c’è la cooperativa Cooss di Ancona, che, grazie al contributo del capoluogo marchigiano, ha educato alla leadership positiva 34 bambini tra i 7 e gli 11 anni con il progetto sperimentale “Leaderbus”, dedicato alla prevenzione del bullismo sullo scuolabus.
Il video “Il bullo resta a piedi” sarà presentato il 4 giugno ad Ancona insieme alla rete Ean. “Il fenomeno sembra essere serio pure in Italia – ammette Panagiotis Pardalis – come hanno dimostrato, nel modo più tragico possibile, alcuni recenti casi di suicidio di bambini, un fenomeno chiamato bullicidio”. I casi sono tanti: Carolina, 14 anni, si gettò dal balcone di casa a Novara un anno fa, vittima da tempo delle molestie di cyberbulli; stessa fine per un’altra quattordicenne di Torino, presa di mira per il suo aspetto fisico sul social network Ask.fm; aveva 14 anni anche la ragazzina che si è gettata dal tetto di un albergo in provincia di Padova. Anche nel suo caso, c’era di mezzo il social delle domande, dove era stata invitata da altri utenti a suicidarsi, dopo che lei stessa aveva minacciato di togliersi la vita.
Eppure l’Italia è il Paese in cui emergono meno casi, secondo la ricerca “European Bullying research”, condotta da Il sorriso del bambino insieme ad altri partner, tra cui Telefono Azzurro, nel progetto che ha preceduto la nascita di Ean. Tra il novembre 2011 e il maggio 2012 sono stati intervistati 16.227 studenti da Italia, Grecia, Lituania, Bulgaria e Estonia. I risultati? Il nostro Paese conta il numero più basso di persone che hanno dichiarato di essere state vittime di bullismo: il 15,09 per cento. Estonia e Lituania quelli col tasso più alto: rispettivamente 50,07 e 51,65 per cento
Quasi sempre i giovani bulli italiani sono anche razzisti: le loro offese infatti riguardano il colore della pelle nel 64,54 per cento dei casi e l’etnia nel 54,26 per cento. Segue la taglia corporea. Tra le forme di bullismo più diffuse tra gli studenti italiani c’è quella del cyberbullismo, usato nel 57,68 per cento dei casi: minacce e intimidazioni via chat, email, telefono, sms e social network. Diffamazione, attribuzione di nomignoli, esclusione e botte sono le strategie predilette dai bulli dello Stivale, che prendono di mira, secondo la ricerca, ragazzi sensibili e non in grado di rispondere alle offese.
Oltre la metà degli episodi di prevaricazione sui coetanei avviene in classe. Le vittime, più che in altri Paesi dell’Unione, scelgono di parlarne con i genitori. Del resto, in classe non ricevono aiuto: il 35,45 per cento degli studenti intervistati ha ammesso di non sapere come aiutare i coetanei presi di mira dai bulli. Chi prevarica, in realtà, secondo i risultati dello studio, è spesso una persona insicura, che ha problemi in famiglia o di socializzazione nella scuola.