Reclutato in Publitalia, padre fondatore del partito, più volte ministro, presidente della Regione Veneto. Da sempre ritenuto poco ortodosso rispetto allo "stile" berlusconiano, il dirigente forzista si trova coinvolto nell'inchiesta che fa tremare la Laguna (e non solo)
“Marcello mi vede e mi fa: ‘Ti stavo aspettando’. A me! Rinunciai al contratto all’Efim da 40 milioni l’anno e accettai di andare a Publitalia per 19 milioni e 200 mila lire lorde l’anno. Un milione e due al mese. E ne pagavo 700 mila d’affitto per un buco davanti a San Vittore”. Era giovane, allora, Giancarlo Galan, ma Marcello Dell’Utri intravide immediatamente in quel giovanotto dall’imponente statura fisica e dall’altrettanto importante appetito, l’uomo giusto da far crescere al suo fianco nell’azienda di Berlusconi e in vista di più alti incarichi. E, infatti, Galan, con quell’aria da buontempone sempre pronto a spassarsela, dalla battuta pronta e mai banale, fece breccia immediata nel cuore di un Cavaliere pronto alla discesa in campo politica. Era il 1993, sei anni dopo il primo incontro con Dell’Utri. E lo stipendio di Galan era nel frattempo lievitato in modo impressionante, dai 19 milioni iniziali ai 416 di quel momento. Quando, cioè, Silvio Berlusconi in persona gli chiese di aiutarlo ad fondare un partito politico partendo dalla struttura aziendale del Biscione. “Fu come se me lo avesse chiesto il Messia”, racconterà in seguito Galan. Nacque Forza Italia. E la politica non fu più la stessa.
Ne ha fatta di strada Giancarlo Galan prima di arrivare, quasi in contemporanea con alcuni suoi sodali degli esordi, alla richiesta di arresto della Procura di Venezia per sospetta corruzione nell’ambito dell’inchiesta sugli appalti per la costruzione del Mose. Per chi lo conosce, però, un suo coinvolgimento così stretto con l’inchiesta è stata una sorpresa, soprattutto per quel suo essere fuori dagli schemi, “sono iperliberale e iperindividualista”, ha sempre detto di sé, che lo rendeva difficilmente omologabile ai costumi berlusconiani in molte materie, specie quelle giudiziarie. Invece. Il Cavaliere, d’altra parte, ha sempre avuto grande stima di lui, dei suoi modi affabili da gentiluomo veneto e malgrado la sua autonomia di pensiero che lo ha sempre reso scomodo e piuttosto ingestibile.
Galan, infatti, è stato parlamentare forzista in pratica senza soluzione di continuità dal ’94 ad oggi e più volte ministro dei governi Berlusconi, Politiche Agricole e Beni Culturali, fino alla Presidenza della Regione Veneto. I segreto di tanto successo? “Aver sempre fatto come gli orsi: stare dove saltano i salmoni e cogliere le occasioni”. Le similitudini con l’ambiente marino e acquatico sono un’altra peculiarità dell’uomo, appassionato di pesca d’altura (che ha sempre praticato con invidiabile successo), che lo hanno portato anche a definirsi “un tonno”, genere di pesce tra i pochi che ama la vita solitaria e conduce un’esistenza “fuori dagli schemi”. Per dire: dopo essere diventato Presidente del Veneto, cominciò a battagliare con Roma, più in stile leghista che berlusconiano, arrivando al punto di mandare a dire, all’allora presidente Scalfaro, di non farsi vedere dalle parti di Venezia perché “non è il benvenuto”.
E’ uno che attacca briga, insomma, Galan. A parte avercela avuta sempre parecchio con Roma, vista come Capitale di ogni nefandezza e inefficienza, l’ex governatore ha sempre litigato ferocemente con Massimo Cacciari e con alcuni colleghi di Forza Italia, come il presidente della Provincia di Padova, Vittorio Casarin, sempre forzista, che lo querelò per alcune battute scritte nel libro “Il Nordest sono io” (Marsilio, pubblicato nel 2008 con Paolo Possamai). E quando, poi, il Pdl si è diviso in “falchi” berlusconiani e “colombe” alfaniane, si è schierato con i primi, consigliando ai “traditori” un viaggio in Antartide: “A loro, trascorrere qualche giorno con i pinguini, che sono animali fiduciosi, farebbe molto bene”.
Non solo: dentro Forza Italia ha sempre colto l’occasione di marcare la distanza da alcuni colleghi come Giovanardi e Rotondi, dai cui lo distanziano anni luce sul fronte dei temi etici e delle leggi sociali. Quando, nel febbraio 2014, la Corte costituzionale ha bocciato la legge Fini-Giovanardi sul traffico e il consumo di stupefacenti, in barba all’alzata di scudi di quasi tutto il suo partito, lui se n’è uscito così: “Basta con il proibizionismo, bisogna ristabilire la differenza tra droghe pesanti e leggere”. Sui gay, per dire, arrivò a smentire pure il Cavaliere in persona che se n’era uscito con l’intemerata “gli omosessuali stanno tutti dall’altra parte”, intendendo, ovviamente, a sinistra. E Galan, in modo quasi poetico, lo “redarguì” così, citando Auden: “I boschi sono tutti verdi e lustri ai lati del binario, anche gli alberi hanno i loro amori, pur diversi dal mio”.
Una laicità e un’apertura che, certo, Galan deve ai suoi esordi politici, quando ancora ragazzo cominciò a frequentare la microcorrente centrista-patuelliana del microscopico (allora come sempre) partito Liberale che dava guerra alle micro-fazioni della sinistra tecnocratica di Zanone e della destra di Sterpa. “Quando fecero fuori Alfredo Biondi – raccontò nel suo libro – restai così disgustato che chiusi. E per dieci anni non aprii più una sola volta le pagine di politica”. Poi, certo, ci è ricascato, grazie a Berlusconi e, soprattutto, a Marcello Dell’Utri. Con il quale, da oggi, ha una cosa in comune in più della nostalgia per “i bei tempi di Forza Italia…”.