“Trovo assurdo e violento che il destino di una persona che sta vivendo un dramma così particolare, com’è vivere con un tubo in gola, debba essere deciso da qualcuno seduto dietro a una scrivania. È violento, illogico, irrazionale, illegittimo. Per questo noi abbiamo già praticato la sospensione del trattamento – naturalmente col consenso informato – a pazienti sottoposti alla ventilazione non invasiva. E in un caso abbiamo avviato la procedura anche con un tracheostomizzato. Io non ho paura: stiamo facendo il bene dei pazienti”. A parlare non è un medico svizzero, ma il professor Mario Sabatelli, neurologo responsabile del centro SLA del Policlinico universitario Gemelli di Roma.

Ospedale cattolico, quello del decimo piano nel quale sono stati curati Giovanni Paolo II e il fratello di Ratzinger. Un ospedale – ci dice Sabatelli – in cui le persone in fin di vita, affette da patologie come la Sclerosi laterale amiotrofica allo stadio terminale, possono scegliere se continuare a vivere “artificiosamente” attaccate a una macchina o essere lasciate andare. Il professore sceglie di parlare davanti alla telecamera dell’associazione “Viva la Vita onlus”, rispondendo alle domande di Simonetta Tortora. Ci mette la faccia, perchè dalla sua ha “il codice deontologico, le leggi, l’etica”. Ed è perfettamente consapevole che le sue parole rischiano di rialzare un putiferio intorno a un tema, quello del “fine vita”, che accende la politica solo quando si tratta di decidere la sorte di Piergiorgio Welby o Eluana Englaro. “Sono casi sospesi in un limbo – racconta al Fatto il presidente della onlus, Mauro Pichezzi –, e invece serve chiarezza: per il bene dei pazienti e per quello dei medici. Non è possibile che un ospedale si muova in direzione opposta all’altro. È arrivato il momento di stabilire delle regole chiare per tutti”.

Il centro Sla del Gemelli prende in carico, ogni anno, circa 120 nuovi pazienti. Un numero elevatissimo, giustificato dalle continue ricerche portate avanti da un team di cui anche Sabatelli fa parte. È di poche settimane fa la scoperta – da parte del consorzio Italsgen, che riunisce 14 centri universitari e ospedalieri italiani – di un gene, denominato Matrin3 e localizzato sul cromosoma 5, presente in diverse ampie famiglie con più membri affetti da Sla e da demenza frontotemporale . Una scoperta cui la prestigiosa rivista Nature Neuroscience ha dedicato la copertina.

Sabatelli parla della malattia, dei progressi che sono stati fatti negli ultimi vent’anni, anche da un punto di vista tecnologico, ma dell’impossibilità, ancora, di sconfiggerla. “Arriva un momento in cui si deve scegliere tra ‘la situazione finisce qui’ oppure ‘avanti con una vita artificiale’”. Il riferimento è al momento in cui un malato di Sla deve decidere se sottoporsi o meno alla tracheostomia: “Si tratta di una terapia straordinaria – spiega il neurologo –, di una ‘pratica non convenzionale’, come spiega l’articolo 15 del Codice deontologico dei medici. E dunque ci sono alcuni punti da rispettare: il consenso informato e l’efficacia del trattamento, che deve essere appropriato clinicamente. Vi faccio un esempio: bisogna chiedersi se un trapianto di cuore sia appropriato per un paziente di 90 anni. Ma per la Sla vale anche un quarto elemento: la proporzionalità. L’intervento deve essere proporzionato, se ne deve pesare la gravosità. La ventilazione meccanica ti tiene in vita, ma quanta sofferenza in più ti sto dando?”. E allora non si parla solo di terapie, ma di valori. Si parla di una scelta esistenziale del paziente. E rifiutare la tracheostomia non è un atto illecito, sostiene il professore.

Ma poi Sabatelli fa un passo in più: poiché nessuno può immaginare cosa significhi vivere con un tubo in gola e una macchina che pompa aria nei polmoni, per quanto un medico si sforzi di descriverne la condizione, “il piano terapeutico deve essere flessibile”. Cosa significa? “Che quello che è proporzionato oggi, può essere sproporzionato tra sei mesi, quando la malattia sarà drammaticamente avanzata. E allora un paziente ha tutto il diritto di dire: ok, basta. Nessuno dietro a una scrivania può decidere per me, che sono a letto tracheostomizzato”. La traduzione dal linguaggio medico è semplice: se una persona ventilata artificialmente, ma cosciente e lucida, cambia idea e decide che non vuole più respirare attraverso quella macchina, ha tutto il diritto di chiedere di essere stubato sotto sedazione. Il passo da lì alla morte è conseguente. Il professore, nell’intervista, ammette che questa pratica è stata già eseguita al Gemelli su pazienti sottoposti a ventilazione non invasiva e che una volta lui stesso aveva cominciato la pratica per un tracheostomizzato. “Noi ci avvaliamo della consulenza di un etico clinico. Bisogna rispettare la volontà del paziente e creare con lui un’alleanza. Sono persone che noi seguiamo dall’inizio della malattia e quindi conosciamo bene. E allora diventa una scelta condivisa”. Simonetta Tortora chiede esplicitamente a Sabatelli se non ha paura di un nuovo “caso Riccio”, il medico di Eluana Englaro. “Riccio mi pare sia stato prosciolto – risponde il medico – qualcosa significherà. Se non c’è chiarezza legislativa, e io auspico che la politica decida in fretta, mi muovo in accordo col codice deontologico e con l’etica. Non ho paura: stiamo facendo il bene dei pazienti”.

Da Il Fatto Quotidiano del 4 giugno 2014

Community - Condividi gli articoli ed ottieni crediti
Articolo Precedente

Diritti civili tra ‘riciclo’ e rottamazione. Le mode passano, i problemi no

next
Articolo Successivo

Embrioni per la ricerca: una disobbedienza molto civile

next