Politica

Matteo Renzi, la resistibile ascesa

Sarebbe ingeneroso attribuire la vittoria di Matteo Renzi agli 80 euro furbescamente elargiti agli italiani prima del voto e che saranno recuperati con gli interessi mediante aggravi fiscali e tagli della spesa sociale che colpiranno più o meno gli stessi settori che hanno beneficiato della mancia e magari anche altri ancor più economicamente e socialmente demuniti.

Italiani, popolo di accattoni? Non credo…

Io sono convinto che alla fine abbia giocato un ruolo preponderante, in effetti, proprio la paura. Paura alimentata dai sostenitori dell’uscita dall’euro senza se e senza ma, ai quali molti hanno avuto buon gioco a contrapporre gli enormi rischi che una simile scelta comporterebbe, e le cui conseguenze, in assenza di energiche politiche di controllo e contenimento, sarebbero pagate come al solito prevalentemente dai cittadini a basso e medio reddito.

Un altro grosso contributo alla vittoria di Renzi è stato poi dato dalle sparate di Beppe Grillo, un leader oramai usurato e che dovrebbe, come si dice a Roma, andarsi a riporre. Non si può negare che Grillo abbia dato, in un peculiare momento della storia nazionale, un importante contributo alla crescita di un pensiero di opposizione per molti versi originale, contribuendo alla nascita e allo sviluppo del Movimento Cinque Stelle. Ma ora ha fatto il suo tempo. Come dimostrano, anche, i contorcimenti dialettici e, ancora più, il totale opportunismo di fondo dimostrato nel cercare l’alleanza a tutti i costi con Nigel Farage, espressione della peggiore destra britannica.

Di fronte alle idee, poche ma confuse, espresse da Grillo nel corso della campagna elettorale, cui fa da contrappunto positivo l’attività, molte volte più che lodevole, svolta dagli eletti Cinque Stelle nelle istituzioni, Renzi, che di idee non ne che ne abbia poi molte o buone, ha avuto vita e vittoria facile atteggiandosi a leader responsabile e razionale.

Oggi, forte di questa vittoria di dimensioni davvero inconsuete e storiche, Renzi appare deciso a portare avanti il suo disegno neoautoritario, liquidando il Senato e imponendo una legge elettorale che significherebbe la fine definitiva della rappresentanza, aggravando in modo irreparabile il fossato tra cittadini e classe politica dimostrato dai crescenti tassi di assenteismo.

Questo disegno va fermato. Esso ha due pilastri entrambi inaccettabili. Il primo: rimuovere ogni vincolo all’operato della classe politica, che continua ad essere acchiappata con le mani nella marmellata delle tangenti e della corruzione. Si deve quindi ipotizzare che, come già fece Berlusconi, Renzi aspiri in qualche modo a mettere la museruola ai giudici. E del resto nella direzione di aggravare i costi della corruzione vanno le decisioni che mirano ad attenuare e “semplificare” i controlli con la scusa della burocrazia. Certamente i controlli vanno razionalizzati ma non certo alleggeriti nella sostanza. Occorre riflettere su come renderli efficaci senza infliggere inutili vessazioni ai cittadini. Ma non sembra questa l’ispirazione di Matteo.

Il secondo pilastro è l’annientamento totale di ogni residuo diritto di lavoratrici e lavoratori. L’operazione è iniziata con il Jobs Act e la promozione della precarietà ma non si fermerà certo lì. Altro che contratto a tutele crescenti! Le tutele si vorrebbero abolite e non è certo un fatto casuale che le sintonie più significative Renzi continui a trovarle con Marchionne.

Sullo sfondo continua a proporsi un quadro europeo per nulla cambiato rispetto a prima delle elezioni, alla faccia del chiaro monito pronunciato dal corpo elettorale sotto forma di astensionismo dilagante e premio ai partiti euroscettici.

Tutto ciò dimostra l’esigenza di un’opposizione vera e propria, che finora è mancata, nonostante gli sforzi del Movimento Cinque Stelle e, per altri aspetti, di SeL. In questo senso l’affermazione, in vari Paesi europei della Lista alternativa capeggiata da Alexis Tsipras, costituisce un ottimo auspicio che va coltivato superando la logica rissosa che ha contraddistinto per troppi anni la sinistra italiana.

Non è che l’inizio, beninteso. Occorre andare avanti, nella consapevolezza che la crisi, lungi dalle dichiarazioni di Poletti e C., continuerà ancora a lungo perché strutturale e strategica e che di fronte ad essa non bastano le risposte folkloristiche ed episodiche, che uomini e ometti del destino si affannano inutilmente a proporre.