Stefano Gugliotta fu vittima di un pestaggio di Stato e “sequestrato” in carcere per una settimana: questo in sostanza ha sentenziato oggi il Tribunale di Roma condannando nove agenti del reparto Celere a 4 anni di reclusione e l’interdizione dai pubblici uffici.

Sarebbe un errore però limitarsi a dire “giustizia è fatta”, perché gli abusi delle forze dell’ordine non sono una questione di mele marce bensì un problema strutturale nella gestione dell’ordine pubblico, fermo al modello degli anni ‘70.

Quando – da Segretario di Radicali italiani- andai a trovare in carcere Gugliotta, infatti, era in arresto a Regina Coeli per resistenza a pubblico ufficiale, terrorizzato, tumefatto e senza un dente.

Fu solo grazie alla pubblicizzazione del video del pestaggio che da imputato si trasformò in vittima.

In Parlamento, durante un question time, il ministro Elio Vito anziché chiedersi come fosse potuto accadere cercava invece di far passare Stefano per un delinquente. Ricordo peraltro che in quel rastrellamento indiscriminato furono arrestati come facinorosi anche due ragazzini inermi poi assolti dal Tribunale.

Il Governo farebbe bene ad ammettere che esiste un problema enorme sia rispetto alle garanzie per i cittadini che finiscono nelle mani dello Stato – si tratti di una caserma, di un carcere o di un Cie- sia rispetto agli ostacoli nel far emergere la verità a causa del persistere di un’ottusa difesa corporativa.

Ne sono la prova, oltre alla macelleria di Diaz e Bolzaneto, i casi Cucchi, Aldrovandi, Bianzino, Uva, Sandri, accomunati dal tentativo di nascondere la verità.

Casi dove, come per Gugliotta, solo la diffusione di video ed immagini dei pestati con la conseguente campagna di opinione pubblica permisero di evitare l’insabbiamento e di scoprire che si era persino verbalizzato il falso. E tutti gli altri di cui non abbiamo i video?

Un problema strutturale che riguarda anche le Procure, visto che in non pochi casi hanno mostrato tolleranza se non resistenza a procedere verso gli agenti che sbagliano.

Il Ministro Alfano, intanto, farebbe bene a rispondere a quattro domande ancora senza risposta.

  1. Perché il governo non si è costituito parte civile nel processo Gugliotta, come invece aveva annunciato in Parlamento il Ministro dell’epoca?
  2. Perché il vice questore di Roma, rinviato a giudizio con l’accusa di aver firmato un falso verbale per scagionare i poliziotti che picchiarono Gugliotta, ha continuato a svolgere ancora compiti di ordine pubblico?
  3. Tra gli agenti coinvolti vi è qualcuno che in passato si è reso protagonista di episodi analoghi, come all’epoca chiese di verificare il Consap?
  4. Quali protocolli il Ministero attiverà per garantire l’incolumità delle persone arrestate e l’emersione della verità in caso di denunce di abusi?

La polizia si tutela dandole mezzi e formazione adeguate, non negando l’evidenza.

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