Tra le tante frasi fatte che, teatralizzando la volontaria inconcludenza della politica, si ripetono da decenni all’ennesimo scoperchiarsi di una nuova sentina della corruzione/concussione (“inasprire/applicare le pene”, “la colpa è del singolo, non del partito”, “galera per il reo ma non fermare le opere”…), la dichiarazione più pertinente sembrerebbe quella del portavoce di Forza Italia – il molliccio Giovanni Toti – tragicamente fuori parte nel ruolo del bounty-killer quanto sempre attento a guadagnarsi la benevolenza del capo restando rigorosamente nel seminato aziendale: “giustizia a orologeria”. Il riflesso condizionato della corporazione del potere minacciata, che persegue il depistaggio difensivo lasciando intravedere bieche congiure dell’odiata magistratura.
Non male neppure il commento del segretario leghista, il torpido/protervo Matteo Salvini: “in questo scandalo non c’è implicato nessuno dei nostri”. Ossia il tentativo di prendere le distanze da comportamenti reputati tipici di una indifferenziata corporazione del potere, di cui si avvalora l’esistenza ma alla quale si pretenderebbe di non appartenere (alla faccia dei “cerchi magici” bossiani, dei boatos veronesi in arrivo, dei diamanti di Rosy Mauro e dei pasticci di Belsito). Ad abundantiam, si potrebbe far osservare a Salvini, con il latinorum dell’odiata Roma-ladrona (dove i suoi compagni di partito scendono a svernare), che – comunque – esiste la “culpa in vigilando”; e Zaia è il capo supremo del Veneto-ultima-sentina.
Tutto questo per dire che – a parere dello scrivente – la rifocalizzazione del fenomeno corruttivo/concussivo si accompagna a commenti largamente (e inutilmente) di maniera, secondo cui la soluzione sarebbe una maggiore attenzione nei controlli. Mentre il bandolo sta da tutt’altra parte. E lo si percepisce facendo semplicemente una passeggiata nelle dependance delle istituzioni, magari la buvette o le salette dei Palazzi dove parlamentari o consiglieri regionali si incontrano a microfoni spenti: vasche di un acquario in cui nuota una fauna irreale, a cui l’irrealtà di quei iperluoghi determina un curioso disturbo nella percezione; circoscritta al contesto iperuranio, separato dal resto del mondo, in cui trascorrono il loro tempo.
La vita irreale di una corporazione privilegiata che trae dalla frequentazione con gli affini la beata conferma di essere “altro” rispetto ai cittadini comuni. Convinzione destinata a indurre le sensazioni di invulnerabilità, imperscrutabilità e insindacabilità destabilizzate dall’irruzione del mondo della vita sulla scia delle inchieste giudiziarie; considerate un’indebita offesa alla sacra maestà degli olimpici abitatori di quel luogo appartato.
Ovviamente il trauma dell’arrivo dei giudici avviene di regola a malefatte portate a termine e molto spesso facendo volare non solo stracci ma anche calcinacci. Una soluzione indispensabile in tale contesto quanto profondamente invasiva.
Molto meglio sarebbe ricorrere alle fisiologiche terapie di una politica capace di autorigenerarsi: la funzione di controllo/espulsione dei comportamenti indebiti assicurata dalla dialettica tra attori contrapposti. Si chiama democrazia competitiva. Ossia quella condizione perduta dal momento in cui le forze di partito sono diventate quanto Salvini e Toti facevano intravedere loro malgrado: l’indistinta corporazione politica del potere, che si presume al di sopra di ogni giudizio mortale.
Non ho difficoltà a riconoscere che – se la patologia è questa – l’unico antidoto disponibile rimane una componente “altra” rispetto alla corporazione, quale il M5S. Non certo il Renzi, proconsole del restyling di questa classe politica.
Se solo M5S accettasse di mettere al centro del proprio operato la questione morale e le praterie che apre all’azione anti-regime (invece del giornalista messo alla gogna quotidiana in quanto critico, il corrotto/concusso quotidianamente denunciato); non le scemenze del fare gruppo con una inquietante macchietta britannica.
Sempre non prevalga l’autolesionismo di Grillo&Casaleggio del “tanto peggio, tanto meglio”, per la presa del potere dopo il day after; la catastrofe della distruzione finale. Il ballo macabro sulle macerie.