Questo è quanto sappiamo, questo è quanto arriva alle nostre cronache, ma c’è il sospetto che ci siano altrettanti casi che non vengono denunciati, che passano sotto silenzio, dei quali non sappiamo nulla.
Ancora una volta a essere colpite sono ragazze che spesso vivono nelle zone più povere del Paese. Spesso la violenza avviene quando si allontanano da casa per appartarsi in cerca di una latrina naturale dal momento che non hanno servizi igienici. Sempre la morte avviene dopo un rifiuto, una resistenza, un atto di ribellione.
Purtroppo non è una novità. Casi del genere sono sempre esistiti, in India, come in altri Paesi dove i diritti delle donne sono pari a zero, e dei quali non si sa nulla. La novità è nel fatto che questi casi cominciano emergere, che vengono resi pubblici, che vengono finalmente sporte delle denunce. E’ in quelle donne che protestano e manifestano contro queste violenze e questi orrori.
Di fronte a tutto questo l’India ha reagito nella maniera più classica e prevedibile: inasprendo le pene, ma anche in questo caso neanche la possibilità di una condanna a morte è servita da deterrente. Le raccomandazioni della Commissione di Verma, istituita dall’India dopo l’orrendo stupro di gruppo avvenuto su un autobus contro una studentessa, non sono state attuate.
Non c’è prevenzione, non c’è educazione, non c’è tutela e protezione delle vittime. E l’orrore prosegue.
E’ chiaro che la condanna, scontata, e la denuncia di quanto accade non bastano più. Servono un’iniziativa e una pressione internazionale sul nuovo governo nazionalista che ha appena vinto le elezioni. Serve un impegno politico e economico per un piano antiviolenza.
Proprio come quello previsto in Italia con l’approvazione delle legge dell’autunno scorso contro il femminicidio che ancora stiamo aspettando.