Dice di avere incontrato “cinque ministri, di cui due bravi e tre emeriti deficienti”, ma non spiega chi sono. Diego della Valle, durante un evento di Panorama d’Italia ad Ancona, attacca i membri del governo ma si rifiuta di fare i nomi. Non è la prima volta che il patron di Tod’s interviene con qualche “sparata”. Lo aveva fatto anche nei confronti del presidente della Fiat John Elkann, convinto che giovani che “non hanno un lavoro perché stanno bene a casa”. Della Valle lo aveva definito “un imbecille” e, scherzando, aveva suggerito di fare un “referendum e chiederci se lo vogliamo ancora in Italia”. Battute anche su Rcs, di cui è azionista. Un gruppo editoriale che “è come il film Mission impossible” e per salvarlo “ci vorrebbe Tom Cruise come amministratore delegato”. Intervistato da Giorgio Mulé e Alfonso Signorini, spera che su Expo 2015, visto lo scandalo sugli appalti dell’esposizione universale, si “cambi la marcia. Pensate – dice – a che danno è stato fatto alla nostra immagine agli occhi degli investitori”. Parlando anche del Mose a Venezia ha sottolineato che l’Italia “non è solo un Paese di tangentari con alla guida dei bravi ladri”.
Al centro del suo intervento anche alcuni considerazioni sul mondo dei media e della comunicazione. Innanzitutto, de profundis per il giornale cartaceo. “Il business model dell’editoria su carta che vediamo oggi è finito – ha detto – c’è una forte transizione e la rete prenderà il sopravvento”. Anzi, l’ha già preso: “Il giornale cartaceo resta un punto di riferimento per gente della mia generazione e per i nostri coetanei della classe dirigente. Oggi i giovani, compresi i nostri governanti, si rivolgono a Internet“. Boccia la proposta di sciopero in Rai (“sbagliato fare subito un gesto muscolare, tanto più se poi si fa marcia indietro”), che “ha la stessa sindrome di Rcs, non si capisce chi sia la proprietà. Ma se viene dato un indirizzo, poi bisogna seguirlo”.
E anche di Rcs – di cui della Valle è azionista – l’opinione non è positiva: “viene usata come un punching ball”, “sembra un po’ smarrita” e pare “che non abbia un vero proprietario ma qualche azionista di riferimento come Mediobanca (che si sta disimpegnando dall’editoria come aveva detto) e Fiat, che invece non lo ha fatto”. Del gruppo editoriale, poi, attacca la classe dirigente (“arzilla e un pò invecchiata”) e dice: “Non può essere un’azienda che la mattina ascolta ancora Bazoli, che ha ciurlato nel manico per anni, macinando centinaia di milioni di lire a spese nostre. Ora si tratta di ripartire: è un’azienda che rappresenta un pezzo di cultura italiana. Servono proprietari che stiano indietro e un management efficiente”.