Il progetto Sharexpo vuol fare di Milano, durante l'esposizione universale, una "città condivisa". Potenziando servizi collaborativi come il car sharing e l'affitto temporaneo. Coinvolti anche le social street e gli enti non profit. "Attendiamo dal Comune un quadro normativo certo, anche sul piano fiscale"
Invogliare i visitatori a usare il car sharing e il car pooling per spostarsi in città durante i sei mesi dell’Expo. Chiedere ai cittadini di fare da guide turistiche del proprio quartiere. Mettere a disposizione gli edifici pubblici inutilizzati. Creare un bollino blu – “Milano città condivisa” – per gli spazi fisici e virtuali aperti alla condivisione e un punteggio che, come in un videogioco, sale ogni volta che si utilizza un nuovo servizio collaborativo. Sono alcune delle richieste che associazioni, rappresentanti della società civile e aziende hanno presentato al comitato di indirizzo di Sharexpo. Un progetto che punta a mettere l'”economia della condivisione” al centro dell’Esposizione universale che si terrà a Milano nel 2015. Obiettivo finale? Dare all’evento un volto diverso da quello della cupola degli appalti ma anche, in concreto, a offrire ai turisti servizi di trasporto, accoglienza e ristorazione alternativi a quelli tradizionali. “Per questo”, spiega Ivana Pais, ricercatrice di Sociologia economica dell’Università Cattolica di Milano e componente del comitato di indirizzo di Sharexpo, “a fine giugno consegneremo a Comune, Regione e Expo spa un documento con l’agenda delle azioni da mettere in campo, a livello burocratico e di comunicazione, per favorire lo sviluppo della cosiddetta sharing economy durante Expo superando i vincoli che la limitano”.
Partiamo dall’inizio: l’economia della condivisione o collaborativa, in inglese sharing economy, comprende tutte quelle piattaforme digitali che, facendo incontrare domanda e offerta, permettono di utilizzare un bene – che sia una macchina o un appartamento – senza possederlo. I fenomeni più noti sono il car sharing, il bike sharing e gli affitti brevi, ma le esperienze italiane censite su collaboriamo.org sono ormai 140 e vanno dai portali per il baratto alle piattaforme per la raccolta fondi su internet (crowdfunding), passando per il coworking, l’organizzazione di partite di calcetto con altri appassionati e il social eating, cioè appuntamenti culinari in abitazioni private pianificati su social network dedicati. Nella maggior parte dei casi lo scambio avviene tra due privati che entrano in contatto attraverso portali ad hoc, come AirBnb (case), BlaBlaCar (car pooling), Eppela e Smartika (crowdfunding), Fubles (calcetto). In altri, come i servizi di car sharing Car2Go ed Enjoy, anche il bene condiviso è messo a disposizione da un’azienda. Totalmente “indipendente” e auto organizzato, invece, il fenomeno delle social street, gruppi Facebook creati per socializzare con gli abitanti del vicinato e risolvere problemi di vita quotidiana – come la ricerca di una baby sitter o di un trapano da prendere in prestito per un paio d’ore – senza ricorrere al circuito economico tradizionale.
Sharexpo, portato avanti dal Centro per lo studio della moda e della produzione culturale dell’ateneo milanese, dal portale collaboriamo.org, dalla Fondazione Eni Enrico Mattei e da Secolo urbano, vuole appunto fare leva su questo tipo di servizi per rendere i cittadini di Milano parte attiva dell’Expo. E permettere ai visitatori di vivere in modo diverso l’evento, entrando in contatto con chi a Milano abita e lavora. Ma il tutto, anche per evitare polemiche come quelle suscitate dal servizio di trasporto tra privati UberPop, deve avvenire all’interno di un quadro normativo stabilito dall’amministrazione della città. “L’urgenza di stabilire regole, sia sul fronte fiscale, sia per garantire la sicurezza del consumatore, è molto sentita”, conferma Emanuela Mora, docente di Sociologia dei prodotti culturali alla Cattolica e membro del consiglio direttivo del centro di ricerca Modacult. “Al tempo stesso, però, la regolamentazione non deve ‘normalizzare’ il consumo collaborativo equiparandolo agli scambi economici tradizionali, perché in ballo non c’è solo la fornitura di servizi, ma anche relazioni orizzontali tra persone”.
Insomma: una cornice di regole ci vuole, ma va cucita su misura addosso a questa “nuova economia”. I cui protagonisti chiedono per prima cosa riconoscimento pubblico, visibilità e trasparenza. Lo dimostrano le proposte arrivate sul tavolo del comitato di indirizzo: nessuno batte cassa chiedendo fondi. In cima alla lista delle priorità, al contrario, c’è un rapporto di collaborazione con la pa. Così, per esempio, le social street vogliono essere riconosciute “come avviene per le esperienze di associazionismo” e quelle che offriranno servizi durante Expo chiedono di avere una corsia preferenziale per sbrigare le pratiche amministrative. Mentre gli enti non profit propongono la creazione di una mappa online di tutte le attività culturali e per il tempo libero che stanno organizzando per i mesi dell’esposizione. E per raccogliere fondi pensano a charity shop dove si potrebbero affittare oggetti messi a disposizione da privati. Sul fronte fiscale, racconta Ivana Pais, “Airbnb ha chiesto che il Comune chiarisca, anche con una pagina ad hoc sul suo sito e su quello di Expo spa, quante e quali tasse deve pagare chi affitta un appartamento o una stanza per periodi brevi. A quel punto la società si farà carico di girare il link a tutti gli iscritti”. Non manca poi la proposta di una moneta virtuale creata appositamente per l’evento: l'”expocoin”.