L'Istituto di previdenza dei giornalisti chiude in attivo l'esercizio 2013 per 41 milioni. Ma alcuni elementi fanno riflettere sul futuro: lo scorso anno la cassa ha registrato la flessione della massa contributiva (415,8 milioni, -4,3%) e l'incremento delle uscite per pensioni di invalidità, vecchiaia e superstiti (425 milioni, +3,95%) con la gestione previdenziale in perdita (-51,6 milioni) per il terzo anno consecutivo
L’aumento delle pensioni da erogare e la contestuale flessione dei contributi versati in cassa mettono a dura prova i conti dell’Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti. Per il 2013, il redde rationem è rinviato perché, come si legge nel bilancio dell’istituto, la consistente rivalutazione del patrimonio immobiliare con la creazione del Fondo Giovanni Amendola ha permesso all’ente guidato da Andrea Camporese, recentemente finito nelle carte dell’inchiesta giudiziaria per il crac Sopaf, di chiudere l’esercizio in attivo per 41 milioni di euro (+30,1 milioni sul 2012) grazie a 92,96 milioni di plusvalenze da valorizzazioni immobiliari. Ma nei numeri 2013 ci sono già alcuni elementi che fanno riflettere sul futuro dell’Inpgi. A partire dal fatto che lo scorso anno la cassa dei giornalisti ha registrato la flessione della massa contributiva (415,8 milioni, -4,3%) e l’incremento delle uscite relative a pensioni di invalidità, vecchiaia e superstiti (Ivs) a 425,9 milioni (+,3,95%) con la gestione previdenziale e assistenziale in perdita (-51,6 milioni) per il terzo anno consecutivo, con un rapporto tra uscite per prestazioni ed entrate per contributi pari a 112,42 rispetto al 101,7 del 2012. Non solo. “Il rapporto tra gli iscritti attivi ed i pensionati nel 2013 continua a scendere, passando dal 2,29 del 2012 al 2,08 – si legge poi nel bilancio dell’ente -mentre il rapporto tra uscite per pensioni Ivs ed entrate per contributi Ivs correnti passa dal 111,6 del 2012 al 123,68 del 2013”. A questo si aggiunga poi che l’Inpgi, complice la crisi, si trova anche a far fronte ad un incremento dei costi per ammortizzatori sociali (nel 2013 in aumento del 44,6% a 33,5 milioni fra indennità per disoccupazione, solidarietà e cassa integrazione straordinaria) che tuttavia restano una goccia nel mare rispetto al tema pensionistico.
Un ulteriore indizio del delicato momento che vive l’ente viene anche dalla decisione dell’Inpgi di dismettere lo scorso anno circa 102,99 milioni del suo portafoglio mobiliare per il “soddisfacimento delle maggiori esigenze di liquidità” nell’ambito di un bilancio che ha beneficiato per la prima volta anche di 29,6 milioni di euro di crediti per ricongiungimenti contributivi non obbligatori. Crediti effettivamente accertati, ma non tutti ancora incassati e per questo non al riparo da svalutazioni negli anni a venire e comunque non ripetibili. A fronte della cessione di asset e dell’ “introduzione” del novo credito da riscuotere, le spese sono rimaste consistenti. Soprattutto quelle per il personale (16 milioni di euro, +3,6%). Mentre sul futuro c’è da considerare un effetto collaterale del trasferimento del patrimonio immobiliare al Fondo Amendola, gestito dalla Investire Immobiliare della famiglia Nattino (la stessa che ha in mano il fondo Fip dell’inchiesta Sopaf e che monsignor Nunzio Scarano ha accusato di aggiotaggio nel corso degli interrogatori sullo Ior, ndr). La cui creazione porterà la conseguente scomparsa in bilancio Inpgi delle voci di affitti immobili (34 milioni), già finiti a inizio anno sui conti della Investire Immobiliare.
Con questi numeri è inevitabile che l’Inpgi, in assenza di una riforma dell’attuale struttura dei costi, possa essere tentata a stretto giro da un intervento tampone sugli ammortizzatori sociali. Una scelta di breve respiro che non muterebbe il quadro complessivo delle finanze dell’ente in un contesto di peggioramento del mercato immobiliare su cui finora l’Inpgi ha potuto contare. Per non parlare del fatto che un eventuale taglio avverrebbe senza considerare l’avanzo positivo registrato negli anni d’oro dell’editoria a favore degli ammortizzatori sociali, che peraltro sono anche finanziati dal Fondo contrattuale per finalità sociali, in cui confluisce lo 0,6% deciso dal contratto del 2009. Non solo, in prospettiva, a parità di costi di struttura e di erogazioni pensionistiche, l’unica strada percorribile per la sostenibilità delle casse dell’ente sarebbe l’ulteriore aumento delle aliquote contributive. Con il risultato che il conto del passato finirà col pesare sulle nuove generazioni già alle prese con una crescente precarietà e un generale peggioramento delle condizioni previste nel contratto di lavoro.