Tutto legale, tutto permesso: fa parte della strategia del miliardario di Abu Dhabi, che più spende in altre imprese calcistiche più può permettersi di aggirare le norme del fai play finanziario
Neanche una settimana fa David Villa era stato presentato come il colpo ad effetto dei New York City, neonata squadra di calcio del Bronx che parteciperà alla prossima stagione della Mls. Un gran colpo, al prezzo di 10 milioni i City si sono assicurati il più prolifico attaccante della nazionale spagnola, vincitore di un Mondiale e in campo a Brasile 2014 per cercare il bis con la Spagna: a 32 anni, reduce dalla vittorie della Liga con l’Atletico Madrid, Villa non è certo un giocatore sul viale del tramonto. A distanza di alcuni giorni, poi, l’annuncio che Villa passerà in prestito alla neonata squadra dei Melbourne City fino a che non comincerà il torneo statunitense. La linea rossa dietro il nome di Villa che lega le due squadre situate dall’altra parte del mondo si trova nel nome City, perché entrambe, e non è un mistero, sono società sussidiarie del Manchester City.
E lo spagnolo Ferran Soriano le amministra tutte e tre. Perché mai una squadra come il Manchester City, appena condannata a pagare una multa di 60 milioni di euro alla Uefa per avere infranto le regole del fair play finanziario, decide di acquistare altri due club agli antipodi del suo mondo? Una seconda squadra di New York dopo i Red Bulls (quelli dove ha finito la carriera Thierry Henry) doveva nascere già nel 2010, riprendendo lo storico nome dei vecchi Cosmos (quelli in cui alla fine degli anni Settanta avevano giocato i vari Pelé, Chinaglia e Beckenbauer). Il progetto iniziale non va in porto per difficoltà economiche ed ecco che nel 2012 Ferran Soriano, appena passato dal Barcellona al Manchester City, si inserisce nella trattativa. Finisce che si fanno entrambe le squadre: i Cosmos sono ripartiti l’anno scorso dalla seconda serie, i nuovissimi City di Soriano il prossimo in prima divisione.
Il costo dell’operazione per la creazione del City è stato stimato in 100 milioni di dollari circa, un po’ meno della metà di quanto speso dallo sceicco Mansour nel 2008 per l’acquisto del City di Manchester. Poi ci saranno altri ingenti investimenti per la costruzione di uno stadio nel Bronx sulle rive dell’omonimo fiume, un progetto che è passato in consiglio comunale ma che ha già attirato le ire dei residenti perché deturpa il paesaggio e costringe molti esercenti all’abbandono dei loro storici locali. Lo scorso gennaio poi, sempre il medesimo sceicco ha acquistato l’80% della squadra australiana dei Melbourne Heart per 12 milioni e li ha chiamati Melbourne City, giusto per non confondersi. E proprio sul nome City si gioca la questione, fondamentale per aggirare le regole di un già traballante fair play finanziario dell’Uefa che sembra scritto apposta per agevolare i ricchi.
Oltre a farsi sponsorizzare il nome dello stadio di Manchester per 400 milioni in 10 anni dalla Etihad, che è poi la compagnia di Abu Dhabi posseduta sempre dal solito sceicco. Oltre ad aver investito altri 150 milioni in una futuristica cittadella dello sport che, ospitando anche le giovanili del Manchester City, diventa un investimento sul settore giovanile e quindi detraibile dai passivi. Nel bilancio del City appare la vendita della proprietà intellettuale del nome City per 30 milioni a parti terze, che poi sono proprio i City di New York e di Melbourne. Tutte manovre assolutamente legali, non questionabili dalla Uefa. In definitiva lo sceicco spende e spande quanto vuole e, (anche) per recuperare il deficit e ottenere l’iscrizione alla prossima Champions League, si acquista due squadre all’estero, cosa che ovviamente non possono permettersi tutti i club, tramite cui si ri-compra il nome dalla squadra originale.