Proprio dove, 70 anni or sono, cominciava a finire la Seconda Guerra Mondiale, forse è cominciata la fine della seconda (breve) Guerra Fredda: gli incontri in Normandia, al ‘Vertice dello Sbarco’, nell’anniversario del D-Day, possono avere segnato una svolta nella crisi ucraina, il punto più basso nelle relazioni Usa/Russia, anzi Occidente/Russia, dal crollo del Muro e dal disfacimento dell’Urss.

Il ‘Vertice dello Sbarco’ –una ventina i capi di Stato o di governo presenti sulle spiagge rimaste celebri con i loro nomi in codice, da Omaha a Utah, da Juno a Sword- è stato, diplomaticamente, molto più importante della pantomima punitiva del G7 di Bruxelles –sostitutivo del G8 a Sochi sotto presidenza di turno russa-, dove i Grandi non hanno preso nessuna decisione di rilievo, né sull’Ucraina né sull’economia.

Anzi, i leader dei Grandi europei –Hollande, la Merkel, Cameron- ne sono venuti via in tutta fretta, quasi mollando Obama per andare a incontrare Putin a Parigi o sulla via della Normandia. E Renzi? Lui era l’eccezione: in Normandia, c’è andato Napolitano.

Il presidente russo, che riesce a essere protagonista anche da assente, ha pure visto il presidente ucraino Poroshenko –in presenza della Merkel- e poi lo stesso Obama: contatto non previsto (e replicato). Putin, magari calcando la mano, ha parlato di colloqui “sostanziali” e ha definito “positivi” nel loro insieme gli scambi con i leader occidentali. Obama è stato più discreto.

Rispetto al venerdì in Normandia, con il reciproco impegno russo ed ucraino a cessare le violenze, la giornata di ieri a Kiev, con l’insediamento di Poroshenko, è stata meno serena, è parsa un passo indietro: il presidente ha giurato di tenere unito il Paese diviso, ha respinto ipotesi di compromessi sulla Crimea e ha ribadito l’orientamento filo Ue. E, intanto, nell’Est gli scontri tra truppe regolari e milizie filo-russe facevano vittime, mentre i ribelli dimostravano ancora una volta d’essere agguerriti e abbattevano di nuovo elicotteri governativi –tre in un sol giorno-.

Passate la festa e le cerimonie, adesso è un momento della verità: Kiev e Mosca devono parlarsi davvero, della situazione nell’Est dell’Ucraina, di Crimea, anche di energia. Putin, che non ha dato troppo peso al referendum indipendentista degli insorti filo-russi, deve riconoscere Poroshenko –lo ha già fatto sostanzialmente incontrandolo-; il governo ucraino deve congelare l’offensiva militare; i ribelli filo-russi rinunciare a ulteriori provocazioni…Quanto alla Crimea, difficile immaginarne un ritorno all’Ucraina.

Arrivando in Europa e incontrando a Varsavia i leader dei Paesi dell’Europa orientale, prima di G7 e ‘Vertice dello Sbarco’, Obama aveva loro ribadito l’impegno alla protezione americana, del resto sancito dall’adesione alla Nato. Ma l’Alleanza con l’America e il timore della Russia non possono sfociare in una contrapposizione da secondo dopoguerra, che incrinerebbe la serenità economica – già compromessa dalla crisi -, oltre alla sicurezza globale.

Gli europei stanno con Obama e daranno una mano a Poroshenko, ma non vogliono certo rompere con Putin, né possono oggi rinunciare all’energia russa, specie l’Italia, la Germania, i Paesi dell’Est dell’Ue. Il gas –promesso- americano è lontano almeno quanto la vendita di quello russo ai cinesi: in un caso e nell’altro, c’è di mezzo la creazione di enormi infrastrutture che oggi mancano. Che russi, ucraini, europei si parlino e s’intendano è interesse comune. Gli Usa ci mettano diplomazia, piuttosto che armamenti.

Community - Condividi gli articoli ed ottieni crediti
Articolo Precedente

Ucraina, Poroshenko giura in Parlamento “Nessun compromesso su unità Paese”

next
Articolo Successivo

Armi, “l’India aprirà ai capitali stranieri. Diventerà il nuovo colosso mondiale”

next