I renziani, che pure hanno tanti motivi per festeggiare, danno ora la colpa al “vecchio Pd”, che certo avrà – anzi ha – innumerevoli magagne: ma è una spiegazione parziale. Un’autoassoluzione facile. In primo luogo, il Pd senza Renzi non va da nessuna parte: il 25 maggio è stato un voto pro-Renzi e anti-Grillo, non un voto pro-Pd. Se davanti alle Picierno e Madia non ci fosse Renzi, ma Bersani o Letta, il Pd prenderebbe a fatica più del 20%. Resterebbe cioè perdente come sempre. Nel momento in cui l’elezione non è più percepita come un referendum pro-contro Renzi, il Pd torna il partito che era, capace di vincere a Pavia ma pure di perdere in luoghi fino a ieri impensabili per gli avversari. La forte astensione e lo scandalo Mose hanno poi agevolato i rovesci nei ballottaggi (anche Padova e Foggia, tra gli altri).
C’è però un altro aspetto, ancora più significativo: la ribellione della sinistra “vera” e “autentica”, che a Livorno e Perugia hanno ben conosciuto e ancora ricordano, nei confronti del riformismo gattopardesco di Renzi. Entrambe sono roccaforti rosse, e proprio per questo non hanno accettato di ridursi a succursali rosa. Livorno, oltretutto, ha visto nascere il Partito Comunista Italiano; comprensibilmente, quasi un secolo dopo, non ce l’ha fatta a veder rinascere la Democrazia Cristiana.