Il Partito democratico analizza il risultato del post elezioni amministrative. Tiene ma non stravince e perde due centri rossi per eccellenza. E l'accusa dei fedelissimi del presidente del Consiglio è per chi non ha saputo rinnovarsi all'interno della federazione presentando candidati simbolo del passato
“E’ finito il tempo in cui qualcuno sa che in quel posto si vince di sicuro”. Mentre i suoi difendono la vittoria a tutti i costi, Matteo Renzi in missione in Vietnam analizza i risultati del secondo turno delle amministrative e ammette che qualcosa è cambiato. Anche nel Partito democratico. “I ballottaggi”, dice, “segnano la fine delle posizioni di rendita elettorale“. Il risultato è per il presidente del Consiglio comunque “straordinario”. Sono le elezioni dei ribaltoni: dodici capoluoghi di provincia su sedici scelgono di cambiare l’amministrazione locale. E’ la rivolta contro i luoghi di incrostazione del potere: che sia destra o sinistra, l’importante è rovesciare il tavolo. Bergamo, Biella, Cremona, Pavia, Pescara, Verbania e Vercelli passano dal centrodestra al Partito democratico. Mentre scelgono il centrodestra Foggia, Padova, Perugia e Potenza; Livorno si butta sul Movimento 5 stelle dopo anni di amministrazione di sinistra. Solo quattro le riconferme: Modena, Bari, Terni e Teramo. “Il Pd e il centro sinistra sono avanzati anche stavolta”, commenta l’ex segretario Pier Luigi Bersani, “Ma ci sono delle spine, dei problemi. Adesso siamo in una situazione in cui il Pd è un po’ contro il resto del mondo”.
La vittoria per il Partito democratico c’è stata, ma il presidente del Consiglio chiede ai suoi di non ignorare che il bisogno di rottamazione e cambiamento vale per tutti. Le ferite sono quelle di Livorno e Perugia roccaforti rosse da oggi nella mani dell’opposizione. E quello che solo due settimane fa era stato un trionfo, oggi ha toni più amari davanti al duro colpo di vedere città storiche per la sinistra fare quel passo indietro. La colpa per i fedelissimi del presidente del Consiglio è di chi non ha saputo capire il vento del cambiamento. “Dove il partito ha avuto il coraggio di cambiare, spesso ha vinto”, commenta il senatore Andrea Marcucci. Stessa storia secondo Federico Gelli per il caso di Livorno. Ma anche il rappresentante della segreteria Stefano Bonaccini: “Non ci sono più rendite di posizione. Vale per gli altri e anche per noi”. E’ la storia di un partito vecchio e un partito nuovo. La divisione la raccontano i personaggi in una storia che Matteo Renzi cerca a tutti i costi di riunire. Così al primo ostacolo, il dito torna ad essere puntato contro chi non sta alla rottamazione. Stesse note nei giorni scorsi quando l’inchiesta Mose aveva portato i renziani all’attacco di “un Pd che non esiste più”. Ma non è così facile. Perché amministratori e tradizioni resistono ed è difficile liquidarli come semplice passato.
“Dai ballottaggi”, dice il senatore Andrea Marcucci, “viene una preziosa indicazione al Pd: deve continuare ad avere il coraggio di cambiare. Dove lo ha fatto, spesso ha vinto. E’ un monito – sottolinea il senatore Dem – che riguarda il partito, senza distinzioni tra vecchio e nuovo e tra prima e dopo. I casi di Perugia e Livorno meritano una analisi particolare, senza dimenticare però che il Partito Democratico espugna città importanti come Bergamo, Pavia, Sanremo, Ventimiglia, Vercelli, Cremona e Pescara”. Ma anche Biella, Terni, Verbania e Modena. Il Pd perde invece a Potenza, con un passaggio di testimone storico: il candidato di centrodestra De Luca (sostenuto da Popolari per l’Italia, Fratelli d’Italia-An e una lista civica) vince là dove il centrodestra non aveva mai vinto, collezionando sempre sconfitte.
Il pensiero in casa Pd però è per Perugia, ma soprattutto Livorno, la roccaforte rossa passata nelle mani del Movimento 5 stelle a sorpresa di tutti tranne che degli elettori. “La Federazione di Livorno”, ha detto Federico Gelli ad Agorà, “è stata quella più retriva, quella più arretrata rispetto ai processi di cambiamento. Alle primarie per il segretario, la federazione di Livorno fu quella che si manifestò più lontana dai processi di cambiamento. Renzi ottenne una percentuale molto bassa. L’idea di disegnare un nuovo partito riformista, in quel territorio fu visto quasi come una minaccia. Credo -ha aggiunto- che a Livorno ci siano state altre concause: gravi errori nell’amministrazione uscente e un gruppo dirigente che non ha avuto il coraggio di fare un vero cambiamento. A Livorno c’era una grande voglia di discontinuità. Tutti, dalla destra ai grillini, si sono coalizzati contro il Pd, contro il nostro candidato”.
“Questo voto”, ha commentato Stefano Bonaccini, responsabile enti locali per la segreteria Pd, “ci consegna tramontata l’idea che esistano rendite di posizione perenni. Vale per gli altri, si vedano le splendide affermazioni al nord, come Pavia e Bergamo, o in città come Pescara e Campobasso, e vale anche per noi, a partire da Livorno, Perugia e Padova. In ogni caso 160 comuni conquistati su 235 è una vittoria netta, importante, per il Pd e per il centrosinistra”. Parole a cui si unisce la vicesegretaria democratica Debora Serracchiani: “Ci sono delle situazioni in cui siamo molto amareggiati e dispiaciuti, ma abbiamo stravinto le europee e abbiamo stravinto anche le amministrative. Il 60% dei Comuni oltre i 15 mila abitanti sono nelle mani del centrosinistra, 20 dei 28 capoluoghi che andavano al voto sono passati al centrosinistra. Per noi è un risultato straordinario che ci conferma del nostro lavoro. Certo, ci sono delle situazioni in cui siamo molto amareggiati e dispiaciuti, penso a Livorno, a Perugia e a Padova. Se guardo a grandi regioni come Lombardia e Veneto, c’è uno spostamento nel campo del centrosinistra molto importante. Naturalmente c’è motivo per riflettere rispetto a queste sconfitte”.
Ribaltoni non solo nei capoluoghi di provincia. Il Partito democratico perde Urbino, che passa al centrodestra, e a Civitavecchia, dove invece ottiene la poltrona il Movimento 5 stelle. Non ci sta ai rimproveri l’ex sindaco della città di porto Pietro Tidei: “E’ stato un voto contro la politica, con la quale io sono stato identificato”, spiega Tidei, che tira in ballo anche le responsabilità del Pd. “Renzi, per quanto tiri forte, non si può sostituire ai territori: da parte dei vertici del Pd c’è scarsa attenzione alla provincia di Roma, che rappresenta invece la terza federazione provinciale d’Italia. Sarà anche stata mia responsabilità, ma io non ho mai perso un’elezione”, prosegue Tidei, sottolineando “la debolezza del nostro partito nella provincia di Roma: da Pomezia a Tivoli a Guidonia, il Pd non governa”.