L'ex roccaforte rossa era stata tra le poche a non seguire l'onda del congresso nazionale e a eleggere un segretario cuperliano. La dirigenza del partito era sicura di superare anche questo scoglio: "Di poco ma vinciamo". Invece - tra astensionismo e boom Cinque Stelle - i voti sono mancati nelle zone più popolari, comprese Shangai e Ovosodo
Dimenticate Livorno, Livorno è un’altra cosa. Dopo quasi un secolo anche gli ultimi detriti del Pci finiscono per rotolare giù nel nulla e la città del teatro San Marco, del collegio di Umberto Terracini padre della Costituzione e delle vittorie per 70 anni decide di fare la rivoluzione. Mentre l’Italia va da tutt’altra parte, il Pd gonfia le urne nel nord est e Renzi non ha rivali nel cuore degli elettori, Livorno si incazza, dà barta ar tavolino e spacca tutto. E’ stato un referendum sul Pd di Livorno: sì, no. Ha vinto il no. “Livorno è una città di gente dura, poco sentimentale” scrisse una volta Pasolini. E’ rimasta attaccata, anzi aggrappata per decenni a quella falce e a quel martello, diventati quercia, diventati non si sa cosa. Poi basta. Livorno si sveglia nel Duemila inoltrato, dove le cose sono un po’ più complicate e la rassicurazione per cui “ci pensa il partito” non vale più, non basta più a nessuno. Ora ci sono altre regole, altre lingue da parlare. Renzi a giudicare dai risultati elettorali l’ha capito, almeno per ora, e ha stravinto. A Livorno lo hanno capito da oggi, ma è troppo tardi: il nuovo sindaco è Filippo Nogarin, Movimento Cinque Stelle.
Dice: vabbè, i Cinque Stelle hanno vinto per gli elettori di destra. Invece no. Marco Ruggeri, il candidato sindaco del Pd che ha provato in tutti i modi a convincere che la sua sarebbe stata una ventata di freschezza, è stato abbandonato dai suoi stessi elettori. Alle Europee il Partito democratico a Livorno ha preso 45mila voti, cioè quasi il 53%, al ballottaggio il candidato sindaco non ha raggiunto la soglia dei 32mila. I numeri fotografano un sentimento. Quello dei portuali di banchine semi-depresse, degli operai della componentistica auto alle prese con vertenze lunghe anni, dei commercianti che non trovano fiato. Il Pd di Livorno è stato abbandonato proprio nella sua fetta di città, nei rioni con i circoli Arci e le bandiere, le case popolari, le mutande stese sui chiostri. Proletariato e piccola borghesia non hanno voluto più questi dirigenti, non si sono fidati più, si sono stufati. Magari non hanno votato il nuovo sindaco Filippo Nogarin, ma di sicuro hanno preferito gli scogli di Calafuria e il riso freddo nella borsa frigo, come se laggiù in città si tenesse un referendum sulla caccia. Si sono registrate affluenze molto basse in numerosi seggi delle zone “rosse” della città. A Shangai, per dirne una, dov’era nato e quasi subito morto il mito del calciatore milionario con il pugno chiuso: erano solo pochi anni fa ed è diventata già un’immagine sbruciacchiata. Ma anche a San Marco, Colline, la zona del Mercato Centrale, Borgo Cappuccini. In tutte queste zone non si è raggiunto il 50% dei votanti. I grillini hanno fatto il pieno (in alcuni seggi oltre il 60%) nel quartiere Ovosodo, il cui vero nome è Benci Centro e Benci è il nome della scuola elementare dove da più tempo e con più energia si fa un lavoro di integrazione tra bambini di diverse comunità, in una città che si sta facendo grande. L’M5s vince nel quartiere della Rosa, dove una volta la somma di Rifondazione, Comunisti Italiani e Ds raggiungeva risultati renziani (o da epoche del Pci delle glorie), cioè tra il 55 e il 60 per cento. Ora il Pd ha preso intorno al 38-40, quando è andata bene anche di poco sopra il 50%.
Il dna non basta più, Livorno taglia il cordone ombelicale
Prima ancora degli errori dell’amministrazione uscente – di cui oggi ovviamente non si trova un solo sostenitore – il Pd a Livorno è stato abbattuto dai cliché, dalla retorica su se stessi, dalla convinzione che basta il dna, basta quel 21 gennaio 1921. Da quel riflesso dello specchio che raccontava ancora una volta quegli scontri di piazza con i parà della Folgore o l’interruzione del comizio di Almirante in piazza Magenta. Oppure che il mondo reale, gli umori, le opinioni fossero davvero tutte racchiuse in una cucina della festa che non si chiama più neanche dell’Unità o in una riunione nella sede di partito. “Non abbiamo saputo ascoltare la città” si battono il petto ora nei circoli democratici.
Non è stato più sufficiente ripetersi la storia della culla del Pci, perché quella è storia e i livornesi ne vanno fieri, ma la politica è fatta di negozi che chiudono e di cassaintegrazione e tasse da pagare. Livorno si è persa: non ha ritrovato più, come da anni sostiene il direttore del Vernacoliere Mario Cardinali, i tempi delle “battaglie civili, della solidarietà e dell’amore del prossimo, del non arrendersi mai, nello sforzo di cambiare e migliorare, dell’entusiasmo, della voglia di combattere – ripete oggi al Corriere della Sera – Operai, impiegati, donne, uomini e ragazzi scendevano in piazza per difendere i diritti della gente e c’erano sindaci che li accompagnavano, li guidavano, davano impulso alle idee, davano spazio ai giovani”.
Il Pd di Livorno che non voleva il cambiamento di Renzi
Livorno era stata l’unica città a essere graziata dalla bufera di Renzi. Qui hanno continuato a votare sempre la vecchia guardia. Alle primarie in massa scelsero Bersani. Nel cappotto congressuale di dicembre si intestardirono e scelsero di nuovo Cuperlo. Con la differenza che Cuperlo era una faccia quasi nuova al “grande pubblico”. Qui, invece, in un paesone di 160mila abitanti, si conoscono tutti: si fa presto a passare per il “vecchio”. E infatti Nogarin ora parla già da sindaco, galvanizza i suoi concittadini con un ritratto più che calzante per conquistare anche chi non l’ha votato né al primo turno né al ballottaggio: “Vi abbraccio idealmente tutti – scrive su facebook – Siete bellissimi come siete: rivoluzionari, anarchici, artisti, irriverenti, insofferenti, ribelli, generosi, reazionari, goderecci, incazzosi e sempre, sempre, sempre un passo avanti a tutti”.
La mancanza di risposte. Rossi: “Pd contro se stesso”
Ora Ruggeri dice: “Perdere Livorno non è uno scherzo e qui, guardate, i grillini non c’entrano: questa campagna elettorale è stata Pd contro Pd e tutti gli altri, coalizzati, hanno voluto dare una spallata a un sistema che era diventato insopportabile. Io voglio bene a questo partito, non avrei messo il culo alla finestra”. Il Pd – che negli ultimi anni aveva sostenuto il sindaco Cosimi a corrente alternata – ha infatti candidato Ruggeri dopo aver ricevuto una sfilza di no da figure esterne al partito con le quali si tentava di spazzare via i brutti ricordi e supplire a una crisi di classe dirigente: un professore di biorobotica del Sant’Anna, l’ex ad del Tirreno, forse anche Concita De Gregorio.
Figurarsi: la città aveva già deciso. Aveva già fatto capire tutto al primo turno, quando il candidato del partito democratico aveva racimolato solo il 40% dei consensi: Ruggeri nel secondo turno non ha neanche preso i suoi, di voti. Ne ha persi oltre 2mila in 15 giorni. Punizione su punizione. La risposta è tutta lì: nella mancanza di risposte. “Alla base – scriveva su facebook il presidente della Regione Enrico Rossi – c’è una crisi economica e occupazionale più grave che altrove e una risposta inadeguata da parte della vecchia classe dirigente di sinistra. Poi la politica ha fatto il resto. Tutti contro il Pd locale diventato il responsabile di tutti i problemi. E anche il Pd diviso e contro se stesso. Punto e a capo. In Comune va un grillino”.
Il Pd era sicuro di riuscire a sfangarla anche questa volta. “Di poco ma vinciamo” era il sussurro più ricorrente, in un’operazione di training autogeno che però non è stata sufficiente. Era passato il ministro Giuliano Poletti, era passato anche il sottosegretario (renziano) Luca Lotti: il tempo di dire quella cosa su Orsoni che non è del Pd. Ma non c’è stato verso. Ruggeri ha provato per settimane a convincere i livornesi che la sua squadra non aveva niente a che vedere con la giunta uscente: aveva presentato perfino tre assessori che parevano in pectore (il leader dei Virginiana Miller, l’ex campionessa del volley Cacciatori e una preside) e che invece resteranno a fare i rispettivi mestieri.
La vittoria di Nogarin (e della sinistra e della destra)
La sordità alla richiesta di cambiamento è stata solo rimandata. Dove la rottamazione non è riuscita al segretario nazionale, è riuscita ai Cinque Stelle: il segretario comunale Jari De Filicaia annuncia le dimissioni, Ruggeri (consigliere regionale) pensa di lasciare la politica. Il sindaco Nogarin, un ingegnere aerospaziale, ha più che raddoppiato i suoi voti tra il primo e il secondo turno, da 16mila a quasi 36mila. Improbabile che anche solo un decimo di questi elettori conosca qualcosa del programma dei Cinque Stelle: forse sanno della battaglia contro il rigassificatore, sulle discariche, sul nuovo ospedale e poco altro. “Ma meglio lui dei soliti” è stato il ragionamento. Difficile incrociare con scienza esatta i flussi elettorali, ma tanta parte di quelle preferenze nuove è arrivata da quella che per prima ha azzoppato il Partito democratico, la coalizione che faceva capo a Buongiorno Livorno, una lista di “sinistra-sinistra” che sulla parola d’ordine del cambiamento radicale aveva conteso l’accesso al ballottaggio allo stesso M5s (2% il distacco al primo turno). Buongiorno Livorno, nel suo piccolo, l’aveva capito: in lista aveva solo cittadini che non avevano mai fatto politica. Quasi 14mila voti che hanno contribuito a recidere Livorno che da radici evidentemente erano diventate catene. Certo, la vittoria di Nogarin avrà d’ora in poi tanti padri e tante madri: dalla sinistra radicale dicono che non c’entra niente la destra, i grillini dicono che non gliene frega niente del colore dei voti, a destra festeggiano e quello gli basta. “E’ il giorno più bello della mia vita” ha detto Marcella Amadio, storica esponente della destra livornese (candidata di Fratelli d’Italia) che proprio per la vittoria dei Cinque Stelle perderà il proprio seggio. Per inciso la destra scompare dal consiglio comunale: ci sarà solo l’esponente di Forza Italia.
Il direttore del Vernacoliere: “Un successo con basi popolari e per il bene comune”
Rompere con il passato, cambiare, ribaltare, ripartire. I verbi che si usano sono gli stessi delle Politiche 2013, ma un anno dopo. Cardinali ci crede: “Speriamo nei giovani, perché abbiano l’entusiasmo di rompere gli schemi, gli interessi di una casta sclerotizzata che non ha più niente da dire alla città”. Cardinali riconosce nel successo del M5s “una base popolare, che ha cultura dell’autocoscienza, di voler fare per il bene comune. E questo desiderio di partecipazione popolare sono convinto che non potrà che far bene a questa città. La crisi ha rotto il giocattolo per tutti e ha fatto capire che cosa era diventata questa sinistra. La crisi ha portato alla rottura dell’immobilismo”. La “peste rossa” almeno qui, almeno per ora è stata debellata. E’ stato ancora una volta un urlo liberatorio come quel “Vai a casa” gridato da un’auto che passa davanti al Comune all’indirizzo del sindaco uscente e capro espiatorio entrante Alessandro Cosimi. Un urlo liberatorio, ma con la politica nazionale pare non entrarci niente.
E il vescovo è già “grillino”: “Si batta per il lavoro e saremo con il sindaco”
La “rivoluzione” è tutta livornese: la scatoletta di sardine, Schulz, Di Battista, Berlinguer, le stampanti 3D, il reddito di cittadinanza e il fiscal compact qui non c’entrano niente. Non è stato un vaffanculo. E’ stato un “te lo vai in culo, dé”. E il vento soffia già tanto forte che all’indomani del trionfo è il vescovo di Livorno, Simone Giusti, a dare il primo sostegno al sindaco: “Lei che sa progettare strutture ultraleggere, alleggerisca la burocrazia che asfissia questa città; Lei che sa ideare imbarcazioni veloci, faccia correre e volare lo sviluppo del nostro territorio e il lavoro, soprattutto per tante famiglie che non sanno come andare avanti; sia certo che se perseguirà questi obiettivi non le mancherà il nostro appoggio”. Se la sfida anche qui è stata tra paura e speranza, i livornesi hanno dato la loro risposta.