Molto presto in Egitto Facebook, Twitter, YouTube e forse anche WhatsApp, Viber e Instagram potrebbero essere sottoposti a una sorveglianza sistematica.
Il 1° giugno il quotidiano Al Watan ha rivelato che il ministero dell’Interno ha pubblicato un bando in cui s’invitano le aziende straniere di tecnologia informatica a presentare proposte per l’istituzione di un sistema di “monitoraggio dei social media”.
Il giorno dopo, in un’intervista ad Al Ahram, il ministro Mohammed Ibrahim ha confermato tutto, sottolineando che il governo intende combattere il terrorismo e proteggere la sicurezza nazionale attraverso la ricerca nella Rete di definizioni concernenti attività considerate illegali e l’individuazione delle persone che le utilizzano nelle loro comunicazioni.
Le definizioni “sospette” dovrebbero essere 26, anche se la lista non è ancora pubblica e si teme che non lo sarà mai, lasciando gli utenti della Rete nel dubbio se quello che stanno scrivendo sarà legale o no. Al momento, da quello che si sa, dovrebbe comprendere la diffamazione della religione, la convocazione di manifestazioni illegali, di scioperi e sit in, nonché il terrorismo e l’incitamento alla violenza.
Secondo il ministro Ibrahim, questo sistema non sarà usato per limitare la libertà d’espressione.
Siamo sicuri? O non si tratta piuttosto di un’indiscriminata sorveglianza di massa, incompatibile col diritto alla privacy e peraltro vietata dalla stessa Costituzione egiziana che, all’art. 57, stabilisce l’inviolabilità della corrispondenza postale, telegrafica, elettronica, telefonica e tramite altri mezzi di comunicazione salvo quando disposta da un’ordinanza giudiziaria motivata e per un periodo limitato di tempo?
Gli standard del diritto internazionale riconoscono che, per ragioni di sicurezza nazionale, le autorità possono legittimamente ricorrere a forme di sorveglianza che però devono essere mirate e bilanciate dal rigoroso rispetto della privacy delle persone.
In Egitto, i precedenti in tema di repressione della libertà d’espressione, di associazione e di manifestazione sono scoraggianti. Un sistema di sorveglianza indiscriminata e di massa nei confronti dei social media, come quello prospettato, rischia di diventare l’ennesimo strumento di repressione nelle mani del governo del presidente al-Sisi.
Al momento, su Twitter prevalgono l’ironia e la sfida.