La Banca centrale europea, in un parere firmato dal presidente, scende in campo a difesa dell'autonomia di Via Nazionale chiarendo che il limite di 240mila euro al trattamento economico - previsto dal Dl Irpef per tutti i manager pubblici - può valere solo come "norma di indirizzo". E critica anche la destinazione dei risparmi, che in base alla normativa vigente vanno al Fondo per l'ammortamento dei titoli di Stato. Interrogazione parlamentare di Magorno (Pd): "Grave intromissione"
La Banca centrale europea, in un parere firmato dal presidente Mario Draghi, dà l’altolà al governo su una delle norme previste dal decreto Irpef. Si tratta del tetto di 240mila euro agli stipendi dei manager pubblici, per la parte che riguarda la Banca d’Italia. L’istituzione di Francoforte, in pratica, scende in campo a difesa di Via Nazionale e della sua autonomia, ricordando che gli Stati “non possono tentare di influenzare i membri degli organi decisionali di una banca centrale” attraverso leggi che “incidano sulla loro remunerazione”. Per Ignazio Visco e i suoi funzionari, dunque, il limite al trattamento economico può valere solo come “norma di indirizzo” e non come indicazione tassativa. Aspetto che, a dire il vero, sembra riconosciuto in toto dal testo del dl, che infatti al comma 5 dell’articolo sui paletti agli stipendi recita: “La Banca d’Italia, nella sua autonomia organizzativa e finanziaria, adegua il proprio ordinamento ai principi di cui al presente articolo”. Ma la nota dell’Eurotower, datata 26 maggio, chiede – in aggiunta – che il decreto faccia “specificamente riferimento non solo all’indipendenza istituzionale e finanziaria della Banca d’Italia ma anche all’indipendenza personale dei membri dei suoi organi decisionali”.
Il parere di Draghi va però anche oltre, perché mette in discussione anche la destinazione dei risparmi derivanti dalla riduzione dei compensi. La normativa in vigore, che risale al governo Monti e viene solo aggiornata dal decreto Irpef, prevede che finiscano nel Fondo per l’ammortamento dei titoli di Stato, in pratica un “tesoretto” destinato a ridurre il debito pubblico. Ma la Bce avvisa che tale disposizione “non è compatibile con il principio di indipendenza finanziaria e potrebbe essere assimilata al finanziamento monetario, chiaramente vietato dal Trattato” costitutivo della Ue.
Non solo: l’esecutivo italiano viene anche richiamato sulla necessità di consultare la banca centrale in tempo utile prima di assumere decisioni sulle quali è competente. Al contrario, in questo caso la richiesta di consultazione a Francoforte è stata fatta “ben dopo l’entrata in vigore” del decreto, varato il 24 aprile e ora in fase di conversione (che dovrà avvenire entro il 23 giugno pena la decadenza).
Martedì, dopo la diffusione della notizia, il deputato Pd Ernesto Magorno ha presentato un’interrogazione parlamentare rivolta al ministero dell’Economia per sapere “a che titolo la Bce si sarebbe espressa contro il tetto agli stipendi pubblici di 240mila euro che il decreto Irpef introduce anche per la Banca d’Italia”. Secondo Magorno “si tratterebbe di una grave intromissione, tra l’altro a difesa di quello che appare come un privilegio”. “Il ministero dell’Economia – conclude il parlamentare – valuti se non sia opportuno chiedere alla Banca d’Italia di rendere pubblico il numero dei dirigenti che attualmente prendono più del tetto fissato dal governo e per quale importo, per poter informare con trasparenza i cittadini”.