Così la Consulta nelle motivazioni della sentenza emessa il 9 aprile scorso. Inoltre secondo la corte il divieto di fecondazione eterologa creava una discriminazione tra le coppie infertili sulla base delle loro possibilità economiche. Secondo i magistrati con la caduta della norma, dichiarata incostituzionale, non si crea alcun vuoto normativo
“La determinazione di avere o meno un figlio, anche per la coppia assolutamente sterile o infertile, concernendo la sfera più intima e intangibile della persona umana, non può che essere incoercibile, qualora non vulneri altri valori costituzionali”. C’è anche questa riflessione nelle motivazioni della sentenza numero 162, pubblicate martedì sera sul sito della Corte Costituzionale. Una sentenza emessa il 9 aprile scorso, ma che solo con la pubblicazione delle motivazioni sul sito della Corte e poi in Gazzetta ufficiale diventa legge, cancellando uno dei divieti più odiosi introdotti nel 2004 dalla legge sulla procreazione assistita, sotto il governo Berlusconi, con gli auspici dei teocon.
Nove anni dopo i referendum sulla fecondazione assistita, il divieto di fecondazione eterologa è stato abbattuto dai magistrati. Proprio come chiedeva il fronte referendario, battuto nelle urne dall’astensionismo scelto come arma di difesa della legge 40 dalla Chiesa cattolica e dai teocon. Nessuna legge dello Stato italiano può vietare alle coppie il ricorso alla fecondazione eterologa, spiegano i giudici della Consulta. La legge 40 lo ha fatto per dieci anni. Illegittimamente. Perché la scelta di “diventare genitori e di formare una famiglia che abbia anche dei figli costituisce espressione della fondamentale e generale libertà di autodeterminarsi”. E questo vale – annotano i giudici – “anche per la coppia assolutamente sterile o infertile”, che decida di procedere alla fecondazione eterologa.
Sulle scelte terapeutiche, i giudici costituzionali ribadiscono quando già scritto nella prima storica sentenza sulla legge 40, la 151 del 2009: “In materia di pratica terapeutica, la regola di fondo deve essere la autonomia e la responsabilità del medico, che, con il consenso del paziente, opera le necessarie scelte professionali”. E ancora: “Un intervento sul merito delle scelte terapeutiche, in relazione alla loro appropriatezza, non può nascere da valutazioni di pura discrezionalità politica del legislatore”, scrivono i giudici costituzionali.
La parola chiave che i giudici utilizzano per definire il comportamento del legislatore nel vietare l’accesso alla fecondazione eterologa è irrazionalità. La legge 40 – annotano i giudici – ha discriminato tra coppie con diversi problemi di sterilità, negando proprio alle quelle con problemi più gravi l’accesso all’unica tecnica che avrebbe consentito loro di mettere al mondo un figlio e violando così il principio di uguaglianza sancito dall’articolo 3 della Costituzione. “La preclusione assoluta di accesso alla procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo introduce un evidente elemento di irrazionalità – si legge nella sentenza della Consulta -, poiché la negazione assoluta del diritto a realizzare la genitorialità, alla formazione della famiglia con figli, con incidenza sul diritto alla salute, è stabilita in danno delle coppie affette dalle patologie più gravi, in contrasto con la ratio legis“”.
Quel divieto ha prodotto anche una discriminazione di natura economica perché le coppie che hanno potuto permetterselo sono andate a fare la fecondazione eterologa all’estero. Possibilità in qualche modo regolamentata dalla stessa legge 40 che, pur vietando la fecondazione eterologa, ne disciplinava gli effetti, a tutela del nato. Ulteriore prova dell’”irrazionalità”, la legge realizza in questo modo “un ingiustificato, diverso trattamento delle coppie affette dalla più grave patologia, in base alla capacità economica delle stesse, che assurge intollerabilmente a requisito dell’esercizio di un diritto fondamentale, negato solo a quelle prive delle risorse finanziarie necessarie per potere fare ricorso a tale tecnica recandosi in altri Paesi”, annotano i giudici della Consulta.
E ora caduto il divieto che succede? “La sentenza della Consulta che boccia il divieto alla fecondazione eterologa ha efficacia immediata e va applicata senza ritardi”, avvertono Marilisa D’Amico e Paola Costantini, legali delle coppie dai cui ricorsi è scaturita la sentenza della Consulta. “Con la pubblicazione delle motivazioni già da domani sarà possibile ricorrere alla fecondazione eterologa”, rivendica Filomena Gallo, segretario dell’associazione Luca Coscioni. Per le migliaia di coppie già in lista d’attesa nei centri di tutta Italia si riaccendono le speranze.
E l’argomento del “vuoto normativo”, paventato davanti alla stessa Corte dall’avvocato dello Stato Gabriella Palmieri? Respinto dai giudici che rinviano alle diverse “norme che già disciplinano molti dei profili di più pregnante rilievo”. A cominciare dal divieto di commercializzazione dei gameti, contenuto nella stessa legge 40, che all’articolo 9 provvede già a regolare diritti e doveri di donatori e riceventi, stabilendo che “qualora si ricorra a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo … il coniuge o il convivente il cui consenso è ricavabile da atti concludenti non può esercitare l’azione di disconoscimento della paternità”, e che “il donatore di gameti non acquisisce alcuna relazione giuridica parentale con il nato e non può far valere nei suoi confronti alcun diritto né essere titolare di obblighi”. Restano le linee guida – osserva la Corte – che, come previsto dalla legge 40, il legislatore può provvedere ad aggiornare, indicando per esempio il numero massimo di donazioni previste.