L'intento del gruppo inglese è quello di intrattenere mescolando sonorità che risultino orecchiabili: con questo lavoro Pizzorno e compagni ci riescono ma manca, nel complesso, un potente filo conduttore
A dieci anni di distanza dal debutto su uno dei palchi “minori” del Glastonbury festival, i Kasabian si apprestano a parteciparvi nuovamente, ma questa volta da protagonisti principali visto che suoneranno sul Pyramid stage nella giornata conclusiva del festival (domenica 29 giugno). La band porterà sul palco la musica dell’ultimo lavoro in studio, album che a detta del chitarrista Sergio Pizzorno, riassume i tre generi musicali che il leader dei Kasabian ama e con i quali è cresciuto: il rock fine anni ’60, l’hip hop e la musica elettronica.
Se la copertina di un album – così come il titolo – sono una premessa fondamentale, un riflesso del contenuto, allora questo lavoro non parte con grandi punti a proprio favore. L’album prende il titolo dalla durata complessiva del disco (48 minuti e13 secondi) e la stessa procedura è stata applicata per le canzoni, ognuna delle quali riporta come titolo la semplice durata del brano; così troviamo una copertina dallo sfondo rosa acceso con in alto il nome della band, a seguire l’elenco delle canzoni e in conclusione la durata del disco. Questa scelta agli occhi di Pizzorno è apparsa geniale anche per come si è sviluppata, lui stesso ammette che “48:13” è stato scelto come titolo ancora prima che l’album fosse finito, andando così ad influenzare determinate scelte come quella di non inserire – in determinati casi – ritornelli o strofe.
Andando più in profondità, dopo aver ascoltato i brani di “48:13”, una scelta del genere appare più un’opzione semplice ed estremamente sbrigativa, piuttosto che un lampo di genio; il disco infatti risulta abbastanza disomogeneo, senza un potente filo conduttore. C’è una linea generale che sembra essere quella del “we are here to entertain you”, ma difficilmente si riesce a trovare qualcosa che vada oltre questa superficie. Quando i testi non riguardano la volontà di divertirsi e lasciarsi andare, diventano ancora più deboli tornando a rimarcare verità che avranno facile presa (“4:45”, soprannominata “Stevie”).
I Kasabian sono sempre stati bravi a creare ritornelli ad effetto; con questo nuovo lavoro rimarcano questa capacità e allo stesso tempo continuano a mescolare diversi generi musicali: in “43:18” la band non paga il solito grande pegno agli Oasis perché è soprattutto la musica elettronica a prendere possesso della scena, raggiungendo il suo apice in “6:53” (“Treat”), senza dubbio il brano migliore del disco. Il grande pubblico finirà con il conoscere meglio Giorgio Moroder piuttosto che gli artisti che ultimamente lo hanno coinvolto più o meno direttamente: l’anno scorso il vendutissimo “Random Access Memories” dei Daft Punk presentava un brano con un monologo di Giovanni Giogio Moroder; “Midnight” – canzone dell’ultimo album dei Colplay – ha anche una versione mixata dal musicista e produttore, ed infine Sergio Pizzorno lo cita riguardo al brano “3:00” (“Eez-eh”): “Giorgio Moroder ha detto che 120 è il numero perfetto, soprattutto per la musica dance, perché è il numero di bpm perfetto per far muovere la gente”.
L’intento base dei Kasabian è quello di intrattenere mescolando sonorità che risultino sempre e comunque orecchiabili. Probabilmente con questo ultimo lavoro in studio la band riuscirà nell’intento molto più di quanto non sia riuscita con i precedenti album.
Artista: Kasabian
Album: 48:13
Etichetta: Columbia
Provenienza: Inghilterrra