Gli operai hanno approvato con un referendum lo spostamento della produzione a Pozzolo Formigaro (Alessandria), ma la Fiom sostiene che l'ipotesi di accordo e la consultazione non siano valide. Intanto la Rsu è decaduta e, in mancanza di un'intesa, per i dipendenti scatterà la mobilità
Un intero stabilimento verso la chiusura e i lavoratori verso il licenziamento. A meno di un’intesa dell’ultimo minuto, il destino dell’impianto siderurgico Marcegaglia Buildtech di Sesto San Giovanni è segnato. Lo scontro tra azienda e sindacati, che ha fatto saltare il tavolo, si è consumato sul terreno del trasferimento della produzione nella struttura di Pozzolo Formigaro, in provincia di Alessandria. Chiamati a votare la proposta in un contestatissimo referendum, i dipendenti hanno detto sì allo spostamento in Piemonte. Ma non è bastato: la Rsu aziendale è decaduta e al momento non c’è nessuno che possa firmare un’eventuale intesa. E, in mancanza di un accordo, lunedì 16 partirà la procedura di mobilità per tutti i 165 addetti. Dopo 75 giorni, il gruppo guidato da Antonio ed Emma Marcegaglia (neo presidente dell’Eni) chiuderà semplicemente i battenti dello stabilimento lombardo che produce lamiere e pannelli per l’edilizia, senza procedere al trasferimento.
Al centro della contesa c’è l’ipotesi di accordo firmata il 5 giugno nella sede di Arifl, agenzia di Regione Lombardia. Durante l’incontro, i sindacati hanno chiesto all’azienda di garantire ai lavoratori che non accettassero il trasferimento la collocazione in una sede più vicina, come quelle di Corsico e Lainate, in provincia di Milano, di Lomagna (Lecco) o di Boltiere (Bergamo). La società non ha fornito garanzie in questo senso e qui si è consumato lo strappo all’interno della Rsu aziendale. Da una parte due sindacalisti Fiom Cgil, Diego La Torre e Massimiliano Limone, pronti a mettere da parte il pomo della discordia e discutere sugli altri aspetti del trasferimento. Dall’altra Silvana Leo, delegata Fim Cisl, e il terzo rappresentante della Fiom, Massimiliano Murgo, non intenzionati a proseguire la trattativa senza maggiori certezze occupazionali. Di fatto, la discussione è andata avanti e si è arrivati infine alla stesura di un’ipotesi di accordo, firmata però solo da La Torre e Limone. L’intesa prevede un incentivo all’esodo di 30mila euro lordi e il ricorso alla cassa integrazione straordinaria per chi non accetti il trasferimento. Per quanti invece fossero pronti a lavorare in Piemonte, l’azienda metterà a disposizione per due anni un servizio bus e un’incentivazione di 150 euro al mese, che diventeranno 250 per chi si sposterà con i propri mezzi. Ma già all’uscita dall’incontro la Fiom prometteva battaglia ai suoi stessi delegati firmatari dell’intesa. “Quell’ipotesi di accordo non è valida – spiega Mirco Rota, segretario della Fiom Lombardia – perché è stata firmata da due soli delegati su quattro, mentre le decisioni della Rsu, secondo il testo unico sulla rappresentanza, devono essere prese a maggioranza”.
Legittimo o no, quel testo è arrivato all’assemblea dei lavoratori di lunedì 9 giugno. Una riunione cui la Fiom non ha voluto partecipare, non riconoscendo la validità dell’ipotesi di accordo. Il documento, tuttavia, è stato approvato da una maggioranza schiacciante: 119 sì contro 5 no, su un totale di 165 aventi diritto al voto. “La maggioranza dei lavoratori purtroppo è favorevole all’intesa – ragiona Silvana Leo della Fim – Ma l’azienda ha portato avanti un ricatto: ‘O accettate l’accordo o chiudo’. In realtà Marcegaglia non è in difficoltà economica, si tratta solo di una manovra per nascondere la volontà di licenziare”. Ma nelle stesse ore in cui i lavoratori si apprestavano a decidere del futuro dello stabilimento, la Rsu si sgretolava. Il primo nome a sparire è stato quello di Massimiliano Murgo, che ha rassegnato le sue dimissioni. “In queste condizioni, i due delegati firmatari si assumono la responsabilità di condannare a morte i miei compagni di lavoro”, spiega il sindacalista, che negli ultimi tempi ha denunciato di aver ricevuto minacce e intimidazioni. A Massimiliano Limone, che ha firmato l’intesa, la Fiom ha invece revocato il suo mandato. “E’ un atto di difesa da parte dell’organizzazione – spiega Marcello Scipioni, segretario generale di Fiom Milano – Limone ha agito in modo palesemente contrario al sindacato cui è iscritto”.
Considerando che due settimane prima si era già dimessa un’altra delegata Fiom, Daniela Giussani, all’interno della Rsu sono rimaste solo due persone su cinque, La Torre (Fiom) e Leo (Fim). Secondo il testo unico sulla rappresentanza, se la delegazione perde la maggioranza dei suoi elementi questo ne determina la decadenza. Così la Marcegaglia Buildetch di Sesto San Giovanni è rimasta senza Rsu e senza nessuno che possa firmare l’accordo sul trasferimento. L’azienda ha invitato i sindacati per un incontro giovedì 12 giugno, ma sottolinea che questa è l’ultima settimana di cassa di integrazione ordinaria per i dipendenti. Il rischio è che lunedì 16 parta la procedura di mobilità. Poi, trascorsi 75 giorni, l’azienda potrà chiudere lo stabilimento lombardo. Per i lavoratori è cominciato un drammatico conto alla rovescia.