Primo numero il Fatto Quotidiano, 23 settembre 2009La ricordo bene, benissimo, la prima pagina de Il Fatto Quotidiano, il giorno in cui nacque. Era il 23 settembre 2009 e titolava così: “Gianni Letta indagato”. Più ancora che la notizia in sé, già sufficientemente clamorosa, la vera novità era che un giornale si occupasse di lui in termini non esattamente encomiastici. Di Gianni Letta, nella sua storia e nelle storie di tutti noi, nessuno ha mai parlato male. C’è sempre stato un patto parasocial-giornalistico che ha sovrinteso a questo disarmo bilanciato, al quale lui stesso ha contribuito in maniera a dir poco strabiliante.

Negli anni che gli capitava di vivere fuori dal governo, dove invece era regolarmente sottosegretario alla Presidenza del Consiglio senza scranno parlamentare, anche il più modesto di noi lo poteva raggiungere al telefono dopo le 18.30/19, uscita la sua impeccabile segretaria, ché altrimenti la cerbera avrebbe filtrato per censo e importanza. Il “direttore”, come amava essere chiamato per via dei suoi anni al Tempo, alzava direttamente lui la cornetta e rispondeva quasi in automatico un: “Carissimo, come stai?”, foss’anche stato il suo nemico più vomitevole o, peggio, un illustrissimo sconosciuto che chissà come aveva avuto il suo numero d’ufficio. Capirete che con una simile attenzione, con una certosina predisposizione alla gentilezza e nei confronti di tutti, ogni giorno in più passato sulla terra portava con sé un tesoretto di consenso giornalistico purchessia che Gianni Letta incassava come un onesto ragioniere dei sentimenti, così ingrassando la sua cassaforte di benevolenze in vista magari di tempi peggiori. Tempi peggiori che oggi qualcuno vorrebbe fargli scontare nella vicenda veneziana del Mose.

Sostiene Umberto La Rocca, oggi direttore del Secolo XIX ma allora inviato politico de il Messaggero, che un bel giorno chi vi scrive si rivolse al “direttore” facendogli poco garbatamente il segno delle manette e che tutti e due poi ne sorridessimo di quell’impertinenza, io di più naturalmente, lui decisamente di meno, come fosse un destino ineludibile – alla lunga o alla corta – per chi sovrapponeva in maniera così perfetta il suo destino a quello di Silvio Berlusconi. Io questo episodio non lo ricordo e tenderei a negarlo, ma Umberto La Rocca giura solennemente di averlo visto con i suoi occhi in una delle tantissime occasioni in cui si aspettava sotto casa il Cavaliere ancora ai tempi di via dell’Anima, dunque agli inizi dell’avventura berlusconiana. Non facevo tante riverenze, è vero, pero questa mi sembra eccessiva. Comunque.

Guardate, c’è qualcosa di clamoroso in quel che è successo oggi e che forse segna per sempre la vicenda di un uomo che ha compiuto da poco i suoi 79 anni. Gianni Letta ha vergato una lunghissima nota in cui respinge tutte le illazioni uscite in queste ore. Racconta di essersi occupato di tantissime vicende negli anni di governo “ma solo per dovere d’ufficio e per le responsabilità connesse alla funzione e al ruolo… L’ho sempre fatto con spirito rigorosamente istituzionale, nella più assoluta correttezza e trasparenza, senza mai venir meno ai principi di onestà, di lealtà, e di responsabilità, nel pieno rispetto della legge e dell’ordinamento”. A mia memoria, è la sua prima volta. Mai nella sua storia aveva dovuto ricorrere a un piccolo manifesto sull’onestà personale. Questa sì, una notizia.

Ma la domanda che mi sono posto in tutti questi anni è una e una soltanto: che mestiere crede di aver fatto Gianni Letta? Per lavoro, ho frequentato persone d’ogni vaglia, molti racconti li ho sentiti di primissima mano, altri per interposta persona. Mi fido solo delle mie orecchie. Nel mondo della politica e della politica che poi ha un peso che si riverbera negli affari, negli appalti, nell’economia di un Paese, Gianni Letta è stato non un approdo ma l’Approdo. Lo si identificava come la persona in grado di spostare una montagna, di cambiare il corso delle cose, di modificare gli equilibri, di far sentire paradossalmente il peso della sua autorevolezza anche senza intervenire – e qui siamo alla sublimazione, allo scioglimento del sangue sangennaresco, alla potenza massima del politico che non fa, che magari non asseconda, ma poi le cose accadono egualmente. E a fianco della domanda centrale, me ne sono sempre posto una laterale, forse non meno importante. Non sono stati forse eccessivi, troppi, questi “contatti istituzionali” di cui anche Gianni Letta parla nella sua nota, non era forse pericolosa questa ecumenica visione della politica in cui ricevere molte, moltissime, persone ogni giorno che venivano a illustrare, a illustrare, a illustrare e che magari avevano altri obiettivi, non esattamente alti e nobili?

Io penso sinceramente che Gianni Letta non abbia preso un solo euro per sé. Ma credo con altrettanta convinzione che grazie a lui molti soggetti poco raccomandabili abbiano potuto “rivendersi” quei colloqui con il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio nei termini che possiamo immaginare, aggiungendo, gonfiando, facendo credere che, utilizzandolo in mille maniere e tutte davvero poco, poco, onorevoli.

Caro direttore Letta, la chiamo ancora così, che mestiere ha fatto in tutti questi anni, non c’è stato almeno un peccato di grandissima leggerezza nell’interpretare le istituzioni in questo modo? E quanto alla possibile risposta, magari un “ma non potevo certo immaginare…”, no, questo no. Non sarebbe credibile, e soprattutto non farebbe onore alla sua riconosciuta intelligenza.

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