E adesso le aziende rimaste escluse chiedono di rientrare negli appalti di Expo 2015. Viziati dalle mazzette, a quanto emerge dalla recente inchiesta della procura della Repubblica di Milano e dalle ampie confessioni di diversi indagati. Il gruppo di imprese arrivato secondo nella gara per le architetture di servizio del sito Expo, un affare da 55 milioni di euro, ha presentato un ricorso al Tar contro Expo 2015 e il commissario Giuseppe Sala. L’obiettivo è subentrare nei lavori al posto della Maltauro, azienda al centro dell’indagine. Motivazione: da quello che è emerso finora, “l’aggiudicazione all’Ati (Associazione temporanea d’imprese, ndr) Maltauro sarebbe frutto di atti corruttivi tra l’allora legale rappresentante Enrico Maltauro e il direttore generale di Expo 2015 spa Angelo Paris, anche tramite altri soggetti (G. Frigerio, L. Grillo, S. Cattozzo, P. Greganti, ecc.), che avrebbero influenzato la commissione giudicatrice”.

I personaggi citati sono tutti indagati nell’inchiesta su Infrastrutture lombarde – la società di Regione Lombardia che è stazione appaltante di Expo 2015 – che ha portato a otto arresti il 20 marzo scorso. “Le circostanze della dazione di denaro a fini di corruzione sarebbero altresì palesi da confessione resa dagli interessati, in particolare Enrico Maltauro e Angelo Paris”, scrivono i legali milanesi Sergio Colombo ed Elvira Poscio.

Le archietture di servizio di Expo consistono in bar, ristoranti, servizi igienici, spazi commerciali, assistenza, servizi per la sicurezza e così via. Le imprese che chiedono di prendere possesso dei cantieri al posto di Maltauro sono Costruzioni Perregrini srl di Milano (capofila), Panzeri spa, Milani Giovanni & C. srl. Alla gara indetta il 20 febbraio 2013 da Expo 2015 spa, questa Associazione temporanea d’imprese è arrivata seconda dopo il duo Maltauro-Cefla, con solo “lo 0,40% di sconto” in meno rispetto ai concorrenti, si legge nel ricorso, e un tempo di realizzazione inferiore di 31 giorni. 

La chiave per rientrare nel business sta, secondo i legali, nel Protocollo di legalità siglato tra Expo 2015 e la Prefettura di Milano il 13 febbraio 2013, diventato parte integrante di tutti i contratti, proprio per – lo dice la parola stessa – evitare che gli appalti multimilionari dell’Esposizione universale finissero a ingrassare tangentisti e mafiosi. Anche Maltauro, per poter dare il via ai lavori, ci ha messo la firma. Il protocollo, sottolinea il ricorso al Tar, obbliga a “dare notizia al Prefetto e a Expo di ogni tentativo di condizionamento di natura criminale in qualunque forma esso si manifesti (richiesta di tangenti ecc.); di denunciare all’Autorità Giudiziaria ogni illecita richiesta di denaro (…) e ogni illecita interferenza nelle procedure di aggiudicazione, informandone la Prefettura ed Expo”.

Stando all’inchiesta, Enrico Maltauro (o chi per esso) non ha fatto nulla di tutto questo, salvo riempire verbali di ammissioni dopo l’arresto. I suoi interrogatori sono secretati, ma a quanto è trapelato il costruttore vicentino ha descritto la “cupola delle tangenti” e ha quantificato in 1,2 milioni di euro le elargizioni pattuite, facendo riferimento proprio alla gara per le architetture di servizio. Maltauro, si legge nel ricorso, ha compiuto “atti corruttivi (o comunque dazioni di danaro) verso i soggetti in grado di influenzare in proprio favore l’esito della procedura concorsuale, ovviamente non denunciandoli come gli era imposto, ma, ancor più gravemente, compiendoli esso stesso”. Qui sta il punto. Il “sistema sanzionatorio” del Protocollo di legalità, osservano gli avvocati Colombo e Poscio, prevede “la risoluzione automatica del contratto“. Poi l’appalto può essere aggiudicato “al concorrente che immediatamate segue nella graduatoria finale”.

Il ricorso contiene anche un attacco frontale a Expo 2015. Il 22 maggio 2014 le imprese arrivate seconde hanno scritto una nota alla società per chiedere appunto la risoluzione del contratto con Maltauro e il subentro nei cantieri. Ma Expo 2015 “nulla ha risposto, né ha convocato l’incontro per approfondimenti richiesti e non risulta abbia posto in essere alcuna attività volta a ripristinare la legalità palesemente violata”. 

Chi ha ragione? Le visioni divergono profondamente, dato che il 29 maggio il Commissario unico Giuseppe Sala dichiarava ai giornalisti che per escludere Maltauro dagli appalti Expo sarebbe servito addirittura “un decreto legge”, cioè un intervento del governo. E la Prefettura di Milano, sotto la cui egida il Protocollo di legalità ha preso vita? Il 6 giugno la Maltauro ha diffuso un comunicato in cui affermava: “Expo 2015 con note trasmesse il 5 giugno ha comunicato che in seguito a compiuta istruttoria e alla riunione tenutasi lo scorso 3 giugno presso la prefettura di Milano, non sono stati rilevati elementi sufficienti a motivare la risoluzione dei contratti. Pertanto l’impresa porterà avanti l’esecuzione dei contratti aggiudicati”. “Prendo atto”, è stato il commento del governatore lombardo Roberto Maroni, mentre il sindaco di Milano Giuliano Pisapia si è inalberato: “Solo se sarà commissariata”.

Ne è seguita una precisazione della Prefettura: “La Sezione specializzata del Comitato di coordinamento per la sorveglianza sulle Grandi opere nel corso della riunione tenutasi in Prefettura nel pomeriggio del 3 giugno, si è limitata a prendere atto delle affermazioni dell’ing. Carlo Chiesa di Expo 2015 spa relative all’istruttoria compiuta in merito al rapporto contrattuale in atto con la Impresa Costruzioni Giuseppe Maltauro spa da parte dalla Società Expo 2015 spa, unico soggetto al quale spettano le conseguenti valutazioni”. Al Protocollo di legalità nessun accenno.

All’inzio di Expo mancano soltanto 324 giorni, e a fronte delle inchieste giudiziarie la politica, con il premier Renzi in testa, ha chiarito che i lavori devono continuare senza intoppi. Le imprese autrici del ricorso assicurano di essere “in grado di subentrare concretamente nelle attività esecutive in non più di una settimana, potendo anche confermare i rapporti contrattuali in essere con i fornitori e i subappaltatori attualmente già operativi”. Sui terreni di Rho che ospiteranno l’evento, le imprese guidate da Perregrini hanno già a diposizione “un cantiere con mezzi, maestranze, permessi accordati ed organizzazione per l’esecuzione di altro appalto nell’area dell’Expo”.  Nel caso il subentro nei cantieri non venga accolto, il raggruppamento sconfitto si prepara a chiedere danni all’erario per circa 6 milioni di euro

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