Dopo il caso Mauro, fuori anche i senatori dem critici sul ddl del governo. Ora la maggioranza ha i voti per far passare il testo-base preparato dal ministro Boschi. Mineo: "Hanno militarizzato l'organismo del Senato: è un autogol". Il presidente del Consiglio: "Contano di più i voti degli italiani"
Saltano altre tre poltrone in casa Pd in nome delle riforme. Il senatore ‘dissidente’ Corradino Mineo, ago della bilancia in commissione Affari costituzionali è stato sostituito con il capogruppo Luigi Zanda. Fatale la sua opposizione alla riforma del Senato fortemente voluta dal premier Renzi, contrario alla proposta di non toccare la natura elettiva dell’istituzione. E’ la seconda sostituzione in due giorni, dopo quella del senatore dei Popolari per l’Italia Mario Mauro. Ma non solo. Perde il suo posto anche Vannino Chiti, autore del ddl che chiede l’elezione diretta del Senato in aperta opposizione rispetto al disegno di legge del presidente del Consiglio. Le avvisaglie di “epurazione” erano nell’aria da giorni, oggi la decisione di accelerare. La maggioranza ‘blinda’ così i suoi 15 voti in commissione, nell’attesa del ritorno dalla Cina di Matteo Renzi e del suo incontro con Silvio Berlusconi decisivo per capire se un’intesa più larga sulle riforme sarà possibile. L’ufficio di presidenza del gruppo Pd a Palazzo Madama ha deciso di nominare i tre membri permanenti in commissione al posto degli attuali sostituti. I membri permanenti sono da oggi Luigi Zanda, Roberto Cociancich e Maurizio Migliavacca che prendono il posto di Marco Minniti, Luciano Pizzetti e Vannino Chiti. Per effetto di tale decisione Mineo, a sua volta sostituto di Minniti, non farà quindi più parte dell’organismo. La strada dunque è segnata e lo ripete da Pechino il capo del governo: “Noi non molliamo di mezzo centimetro – dice Renzi – , siamo convinti a cambiare il Paese. Le riforme non si annunciano, si fanno, e non lasciamo a nessuno il diritto di veto. Contano più i voti degli italiani che il diritto di veto di qualche politico. Saremo tanto più grandi nel mondo quanto più dimostreremo che siamo cambiati, che le riforme non si annunciano, si fanno”. “Noi politici – conclude il capo del governo – dobbiamo dimostrare che la musica è cambiata sul serio, che le riforme si fanno e non si annunciano, che la semplificazione della burocrazia è reale”.
Commento amareggiato quello di Mineo. “Il governo ha militarizzato la Commissione – ha detto a La Gabbia su La7 – un errore, non è utile né a Renzi né al governo né al partito cercare di far passare le riforme con un muro contro muro. E’ un autogol per il governo e per il partito. Mi pare abbiano commesso un errore politico”, commenta a caldo il senatore civatiano del Pd, che è tra i firmatari del ddl Chiti. “E’ una decisione che non capisco e non approvo – continua – domani vedremo, per ora posso dire che non capisco la ratio di questa scelta. Non sono io il problema, il problema è uscire dall’impasse” che si è creata sul ddl del governo. Critico anche Stefano Fassina che attacca la decisione in una nota: “È grave la sostituzione. È un errore politico. Una ferita all’autonomia del singolo parlamentare e al pluralismo interno del Pd. Un segno di debolezza per chi intende evitare di fare le riforme a colpi di maggioranza. Chiediamo alla presidenza del gruppo Pd del Senato di rivedere la decisione presa”. “E’ la cosa più grave che potesse capitare”. il commento di Pippo Civati, deputato Pd capo della fronda interna al partito.
In soccorso dell’ex direttore di Rainews 24 arriva anche il senatore ex M5S Francesco Campanella: “Il Partito democratico sta dando un segnale pessimo sullo spirito con cui vuole portare avanti le riforme – scrive su Facebook – non solo riforme del partito di maggioranza e dell’opposizione ‘comoda’ ma anche della maggioranza della maggioranza”. Quindi l’annuncio: “Non è in questo modo che si può cambiare la Costituzione: si fermino, oppure prepariamo una manifestazione nel Paese e nell’attesa saliremo su tutti i tetti scalabili non solo quelli di Montecitorio o di Palazzo Madama”.
Dopo che gli italiani hanno espresso un forte mandato per le riforme nelle urne, con il 40,8% dei voti al Pd, non è più tempo di rallentare o frenare, non si può ricadere nelle paludi parlamentari. E’ questo il concetto che Matteo Renzi esprimerà davanti all’assemblea del Pd di sabato, richiamando tutti i membri del partito e i parlamentari alle loro responsabilità di fronte al Paese. Ma intanto in Senato il governo dà il via alla sua prova di forza, che passa attraverso i gruppi parlamentari. Per tutta la giornata si cerca di evitare lo strappo. E Anna Finocchiaro, da relatrice e presidente della I commissione, lancia quello che a posteriori suona come un ultimo appello alla ragionevolezza rivolto al senatore civatiano: “In commissione c’è un solo voto di scarto tra maggioranza e opposizione, una critica radicale come la sua pone un’alternativa tra il fare e non fare le riforme”.
Nel pomeriggio Zanda tiene i rapporti con il gruppo dei senatori ‘dissidenti’ e parla con Vannino Chiti. Ma non c’è nulla da fare. Nella I commissione di Palazzo Madama procede intanto quella che i senatori M5S definiscono polemicamente una discussione “copia-incolla”. Vengono illustrati gli emendamenti al ddl costituzionale del governo, ma il voto sulle migliaia di proposte di modifica non inizierà prima della prossima settimana. Non inizierà, con ogni probabilità, prima dell’incontro tra Renzi e Berlusconi atteso da tutti come risolutivo. Forza Italia insiste infatti nella richiesta di cambiare il testo per prevedere l’elezione diretta del Senato, ma il governo ha fin qui seccamente escluso la modifica. Le trattative proseguono a tutti i livelli alla ricerca di una soluzione, ma solo un colloquio tra i due leader potrà essere risolutivo. E rinnovare il ‘patto del Nazareno’, non solo sul superamento del Senato ma anche sulla legge elettorale, cui si dovrà mettere mano subito dopo. “Siamo a un buono stadio: contiamo di portare il testo delle riforme in aula la prima settimana di luglio”, dice il segretario Luciano Pizzetti. Negli ultimi giorni si sarebbero compiuti, viene spiegato, passi avanti importanti sui poteri del nuovo Senato e sulle competenze delle Regioni nella riforma del titolo V della Carta. Ma serve un’intesa tra i leader sui nodi irrisolti, per andare avanti.