C’era un tempo in cui i Fred, i Nishimura e i Neymar non scandalizzavano nessuno perché erano sistema. Anni in cui il pallone, ancora più di oggi, era politica, diplomazia, relazioni internazionali.
Non è un caso se 6 Mondiali su 19 sono stati vinti dalla squadra di casa, 16 da una squadra dello stesso continente del paese ospitante.
È una storia vecchia quanto la Coppa. Era il 1930 e la prima edizione della Rimet si disputava in Uruguay. In finale un derby bianco-celeste con l’Argentina. I calciatori furono minacciati di morte. L’arbitro, il belga John Langenus, era in giacca e cravatta e prima del match pretese un’assicurazione sulla vita per sé e i suoi familiari, cento poliziotti di scorta e una nave pronta a riportarlo in Europa al triplice fischio. All’arrivo allo stadio fu scambiato per un impostore e, nel dubbio, arrestato. I padroni di casa vinsero 4 a 2, Langenus si salvò. Il giorno dopo per gli uruguaiani fu festa nazionale, tranne all’ambasciata di Buenos Aires.
Nel 1934 in Italia il regime avrebbe gradito molto il titolo e lo ottenne. Gli arbitri gli diedero una mano. Nei quarti la Spagna lamentò un fallo su Zamora nel gol del pareggio azzurro, nel remake della sfida protestò per un gol annullato. In semifinale l’Italia passò grazie a una nuova rete contestata di Guaita. Il direttore di gara era lo svedese Eklind, lo stesso della vittoriosa finale con la Cecoslovacchia. I cronisti dissero di averlo visto in quei giorni a Roma in compagnia di Benito Mussolini. Facemmo anche di peggio nel 1968, in occasione dell’Europeo a domicilio. Accedemmo all’ultimo atto grazie alla monetina contro l’Unione Sovietica. In finale con la Jugoslavia subimmo, ma pareggiammo. Anche in questo caso la partita si ripeté e due giorni dopo ci laureammo campioni. E qualche dubbio rimane, mettiamola così.
L’Italia fu ripagata con la stessa arma nel 1962, sconfitta per 2 a 0 dai padroni di casa del Cile nella Battaglia di Santiago, una delle partite più violente di sempre. L’indulgenza dell’inglese Aston fu a senso unico e non ci premiò. Ancora più dolorosa fu l’eliminazione agli ottavi in Sud Corea con le incredibili decisioni dell’ecuadoregno Byron Moreno, personaggio unico nel suo genere (per fortuna).
Nel 1954 i Mondiali approdarono in Svizzera. In casa gli elvetici ottennero il miglior piazzamento di sempre: i quarti di finale. Alzò la coppa la vicina Germania che sconfisse i perdenti più forti di ogni tempo: l’Ungheria. Nel 3 a 2 tedesco passato alla storia come Miracolo di Berna Puskas e compagni lamentarono l’ostilità dell’inglese Ling, oltre che le massicce dosi di doping usate dagli avversari.
Nel 1966 il football tornò a casa, in Inghilterra. Fu l’unico titolo vinto dai britannici, che però chiesero l’aiutino. Era la squadra del feroce Nobby Styles, meno dotata del Portogallo di Eusebio (superato in semifinale) e dell’altra finalista Germania. La palla del terzo gol di Hurst sbattè sulla traversa, rimbalzò sulla linea di porta e uscì. Il guardalinee Bakhramov veniva da Baku e parlava solo russo. Ancora non si è capito come comunicò con l’arbitro svizzero Dienst, che convalidò.
Nel 1978 l’Argentina si aggiudicò i Mondiali della vergogna anche grazie all’arbitraggio dell’astigiano Sergio Gonella che, forse condizionato dall’inferno del Monumental di Buenos Aires, sorvolò su una gomitata di Bertoni e fece pure di peggio. Indignati, gli olandesi, lasciarono il campo senza salutare i campioni. Una macchia che il dubbio rigore segnato da Brehme nella finale di Italia ’90 non basta a espiare.
Tornando indietro con gli anni e spostandoci a Rio, nessun fischio poté evitare al Brasile la sconfitta nel 1950 contro l’Uruguay. Un episodio ancora vissuto come un incubo da quelle parti. Sventura che sperano di non rivivere 64 anni dopo. La storia ci ha consegnato casi ben più imbarazzanti di partigianeria arbitrale, ma la leggerezza d’animo di Fred nell’andare a terra e lo zelo con cui Nishimura ha indicato il dischetto, quasi a voler fare rispettare una sceneggiatura che non prevedeva variazioni sul tema, invogliano a tifare per un nuovo Maracanazo.