Il procuratore generale Miranda Bambace ha chiesto una condanna in secondo grado per il presidente della Regione Emilia Romagna. Nel 2012, in primo grado, il governatore decise di farsi processare con rito abbreviato e il giudice lo assolse. La sentenza è attesa per i primi di luglio
Il procuratore generale di Bologna Miranda Bambace ha chiesto una condanna a 2 anni di reclusione per il presidente della Regione Emilia Romagna, Vasco Errani nel corso del processo d’appello contro il governatore, accusato di falso ideologico per la vicenda della cooperativa Terremerse, guidata da suo fratello Giovanni. In primo grado, a novembre del 2012, il politico romagnolo decise di farsi processare con rito abbreviato e il giudice per l’udienza preliminare Bruno Giangiacomo lo assolse “perché il fatto non sussiste”. In quel caso la richiesta di condanna in primo grado da parte della pm Antonella Scandellari e del procuratore capo Roberto Alfonso, fu di 10 mesi e 20 giorni. Ora la sentenza di secondo grado è attesa per l’8 luglio.
Secondo l’avvocato di Errani Alessandro Gamberini, l’aumento della richiesta della pena in appello, non sarebbe motivato. Nella sua requisitoria durante l’udienza (a porte chiuse in quanto il rito è quello abbreviato), secondo quanto riferisce lo stesso avvocato Gamberini, il pg avrebbe parlato della necessità di “dare un segnale”, una cosa giudicata “inaccettabile” da Gamberini, che fuori dall’aula ha spiegato: “Io ho fatto notare che se uno viene ritenuto colpevole lo si condanna, se innocente lo si assolve, ma le sentenze non servono per dare un segnale”.
Dopo l’assoluzione del 2012 era arrivata la decisione della procura della Repubblica di andare al secondo grado di giudizio. Secondo la ricostruzione che era stata fatta in primo grado dal pubblico ministero Antonella Scandellari, Vasco Errani nell’ottobre 2009 avrebbe istigato due funzionari regionali, Filomena Terzini e Valtiero Mazzotti, a compilare una relazione falsa sulla vicenda Terremerse, inviata poi ai magistrati della stessa Procura e letta al consiglio regionale riunito. Il tutto, secondo la pm, con l’obiettivo di depistare eventuali indagini che si sarebbero potute aprire (e che infatti partirono immediatamente) sul caso che riguardava il fratello Giovanni.
Il quotidiano della famiglia Berlusconi il Giornale aveva infatti pubblicato nell’ottobre 2009 un articolo in cui si affermava che un finanziamento da un milione di euro era stato ottenuto dalla cooperativa vitivinicola Terremerse in maniera illecita. E facendo ciò era stato adombrato, da parte del giornale, un coinvolgimento dello stesso governatore. Ora per il filone principale della vicenda, cioè per quel finanziamento da un milione di euro ottenuto senza che, secondo l’accusa, ci fossero i requisiti, Giovanni Errani e altri due imputati sono a processo davanti al tribunale di Bologna con l’accusa di truffa e falso ideologico. La Regione Emilia Romagna si è costituita parte civile.
Un altro protagonista, funzionario della Regione Aurelio Selva Casadei, è stato già condannato per la medesima vicenda a un anno e due mesi con rito abbreviato in primo grado: di fatto, con questa condanna, un giudice ha per la prima volta riconosciuto la sussistenza di una truffa nella vicenda. In appello, assieme al governatore Errani (difeso dall’avvocato Alessandro Gamberini) sono tornati come imputati anche Terzini e Mazzotti, anche loro assolti in primo grado con rito abbreviato (per loro l’accusa in appello ha chiesto 2 anni e 2 mesi). Sono loro due che scrissero materialmente la relazione presentata da Vasco Errani in Consiglio regionale e in Procura. Entrambi in primo grado erano stati assolti anche dall’accusa di favoreggiamento. Secondo le motivazioni dell’assoluzione di primo grado, non ci fu da parte di Vasco Errani istigazione a scrivere il falso. Inoltre, anche la parentela tra Vasco e Giovanni Errani, era rimasta, secondo il gup Giangiacomo, solo “uno spunto d’indagine”, “al più un indizio”. Insomma le imprecisioni scritte in quella relazione del 2009 non erano state dolose e non intendevano sviare eventuali indagini, ma solo rappresentare una difesa politica dalle accuse di un quotidiano.