Da una sponda all’altra del Canal Grande. Dieci metri di acqua, questa la distanza che segna il ritorno alla libertà di Giorgio Orsoni. Dalla sua lussuosa abitazione, nella quale ha trascorso otto giorni di arresti domiciliari, al Comune, dove ieri è potuto tornare a occupare la poltrona di sindaco dopo aver chiesto il patteggiamento ai magistrati. Ma la vicenda Mose per Orsoni si è ora trasformata in un regolamento di conti con il partito che lo sostiene, il Pd, e che sta valutando di abbandonarlo e chiederne le dimissioni. Soltanto oggi si saprà se lascerà prima lui o costringerà i democratici a chiederne la testa.

Il primo cittadino ieri ha voluto convocare una conferenza stampa per spiegare la sua “totale estraneità alle accuse che mi sono state rivolte”, ha garantito di aver avuto rapporti con Giovanni Mazzacurati su “richiesta di alcuni esponenti del partito che hanno insistito prima per candidarmi e poi mi chiedevano di caldeggiare finanziamenti alla mia campagna elettorale da parte degli imprenditori”. E Mazzacurati, per trenta anni presidente del Consorzio Nuova Venezia e secondo gli inquirenti capo indiscusso della cricca serenissima, “ha sempre finanziato tutti i candidati” compresi quindi Massimo Cacciari e Paolo Costa, ex sindaci di Venezia. È Mazzacurati però a incastrare Orsoni, a dichiarare ai pm di avergli consegnato dei fondi. Ora il sindaco lo definisce “un millantatore”. E per convincere la stampa della sua tesi difensiva aggiunge: “Io chiedevo a lui i fondi su richiesta del partito ma non mi sono mai occupato di organizzare né finanziare alcuna iniziativa elettorale così come non potevo di certo sapere se quei soldi provenissero da fondi neri”.

Non ha voluto dire chi nel Pd lo ha spinto a rivolgersi a Mazzacurati, ma i nomi li ha fatti nell’interrogatorio lunedì scorso davanti ai tre pm titolari dell’inchiesta. Zoggia, Marchese e Mognato. E anche i rapporti con Mazzacurati sono ricostruiti in maniera diversa. Si legge nell’interrogatorio: “Mazzacurati è venuto diverse volte a casa mia, ogni tanto mi lasciava dei carteggi e delle buste, non sempre ho aperto per vedere cosa c’era dentro”. Il pm gli chiedono se li avesse poi portati al Pd. “Può anche essere, ma non ricordo. I fatti sono avvenuti anni fa”. Aggiunge inoltre che di fronte alle insistenze pressanti dei tre esponenti del Pd aveva “delle perplessità. Ma mi dissero che era sempre avvenuto così a Venezia, che si andava a chiedere il contributo a Mazzacurati. Che era una cosa avvenuta in passato con i precedenti sindaci”.

Ancora più netto e chiaro quanto scrivono i pm nelle tre pagine di parere di revoca della misura di custodia cautelare trasmesso al giudice per le indagini preliminari. “Nella sostanza Orsoni riconduce la sua candidatura a un’iniziativa del Partito Democratico, alla ricerca di una personalità credibile e idonea ad aggregare un vasto consenso politico”, circostanza “verosimile e coerente con la logica del sistema”. Quanto alla decisione di accettare finanziamenti da Mazzacurati, proseguono i pm, Orsoni le “attribuisce a insistenze reiterate e pressanti del Partito Democratico, avanzate dai suoi responsabili politici e contabili, Zoggia, Marchese e Mognato”. I magistrati credono alla versione di Orsoni. E ieri hanno infatti accolto la richiesta di patteggiamento proponendo una durata di 9 mesi (il legale del sindaco ne ha chiesti quattro) al giudice per le indagini preliminari che ora dovrà decidere. Orsoni liquida il patteggiamento come una “goccia di sangue che dovevo pagare, poco più di un incidente”. Sconosciuto ancora l’esito dello scontro politico aperto con i democratici.

Ieri il primo cittadino ha attaccato frontalmente i vertici del Pd, locale e nazionale, e la reazione non si è fatta attendere. Roger De Menech, segretario regionale dei Dem, ha espresso chiaramente quale sia la posizione del partito: “Dobbiamo andare avanti con una posizione molto concreta e dura rispetto al malaffare e decidere per il bene di Venezia”. Ieri sera in una riunione conclusa a tarda serata è stato deciso di attendere almeno un giorno prima di prendere posizioni nette in consiglio comunale ma la linea maggiormente votata è per mandare a casa Orsoni. “Gli diamo qualche ora di tempo per riflettere e confidiamo che sia lui a fare spontaneamente il passo indietro”. Già ieri pomeriggio gli assessori avevano rimesso le deleghe nelle mani del primo cittadino e il titolare delle politiche educative, Tiziana Agostini, si è spinta a dimettersi polemicamente dall’incarico. “Per quattro anni ho lavorato al servizio della città e continuerò a farlo nella mia veste di cittadina. La politica è un servizio reso liberamente e non può subire condizionamenti di nessuna sorta”. Agostini è stata Coordinatrice regionale delle democratiche di sinistra del Veneto e componente del Consiglio nazionale dei Ds ed è uno dei fondatori del Partito Democratico.

Più chiare ancora, se possibile, il senatore Pd Francesco Russo: “Lo dico senza mezze misure, Giorgio Orsoni non può continuare a fare il sindaco di Venezia. Il Pd su questo tema deve dare un segnale chiaro, forte e inequivocabile. Ne va della nostra credibilità”. Il primo cittadino ieri ha lasciato il Comune ribadendo ai suoi più stretti collaboratori di non aver alcuna intenzione di dimettersi e che avrebbe comunque riflettuto durante la nottata. Ma forse a Roma hanno già riflettuto al posto suo.

Da Il Fatto Quotidiano del 13 giugno 2014

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