Un 40,8% a caratteri cubitali giganteggia sul palco dell’assemblea nazionale del Pd. Come un simbolo sacro, un crocifisso, è l’immagine statica di qualcosa che va onorato. Silenzioso, ti ricorda ogni volta che lo guardi – e non ne puoi fare a meno, visto che è lì, sullo sfondo-, i tuoi doveri, la condotta che devi seguire. Proprio come un simbolo sacro incute timore in tutti. Tranne in uno. In chi lo rappresenta sulla terra: Matteo Renzi.

Forte di questo simbolo, Renzi non è neanche minimamente scosso dalla rivolta interna del suo partito. Lo cita spesso, sia nel suo discorso all’assemblea che nella conferenza del giorno prima. “Non ho preso il 40% per per stare a vivacchiare. Mentre qualcuno passa la giornata a vedere cosa fa un senatore noi stiamo rivoluzionando l’Italia”. E’ sempre il suo linguaggio lo strumento col quale ristruttura la realtà. Un linguaggio che ormai chiamiamo renziano e che, come spiego nel mio libro, usa leve che funzionano in tutti gli ambiti della vita. Riferendosi a Mineo ha tradotto “libertà di coscienza” in “affossare”: “affossare le riforme non è libertà di coscienza” ha detto in conferenza. Parole che suonano bene, buone per i titoli, facili da ricordare come un’immagine, che sovrascrivono il concetto sbiadito che avevi prima. 

Eppure Mineo, che da ex direttore di un canale all news (Rai news 24) dovrebbe conoscere certi meccanismi, ha commesso un errore banale e Renzi non glielo ha fatto passare. In un’intervista Mineo ha definito Renzi “un ragazzino autistico” perché “se lo metti a ragionare di politica e di rapporti di forza, suona”. Il premier ha replicato tuonando dal palco sul finale del suo intervento: “Di me dite quello che vi pare, ma chi ieri ha detto che sono un ragazzo autistico ha offeso milioni di famiglie che soffrono”. Lo ha detto urlando e ha potuto farlo grazie alla libertà di parola concessagli (purtroppo per loro) da un caso familiare, quello di una nipote down, che ha citato prima di concludere: “Toccate pure me, ma giù le mani dai ragazzi disabili perché non conoscete la sofferenza”.

Mineo aveva chiesto scusa per l’uscita infelice, ma da giornalista di lunga esperienza dovrebbe sapere che le scuse, le smentite e le assoluzioni non sono sensazionali come le gaffes, le diffamazioni e le condanne. Quindi non avranno una rilevanza mediatica tale da coprire l’errore. Dovrebbe inoltre sapere che, seppur bravo, se sei in radio e Tv per giorni, dalla mattina alla sera, prima o poi una cavolata la spari.

Renzi, non si preoccupa solo di riparare le crepe. Ha un consenso importante da difendere e anche nei momenti di emergenza si preoccupa di seminare. Nel suo intervento coglie nuovamente l’occasione per rendere sempre più attraente la sua proposta. E come spesso capita, lo fa ispirandosi alla forza politica che ha fornito le argomentazioni più attraenti negli ultimi anni: il Movimento 5 stelle.

Questa volta Renzi si lascia ispirare dalla regola del M5s per la quale gli eletti possono esercitare solo due mandati. Il segretario del Pd dice parlando ai suoi: “La nuova politica non si può fare per tutta la vita. L’impegno da cittadini sì. Ma c’è un arco di tempo dopo il quale sei devono fare altre cose. Non è più il tempo di dire che la politica è per sempre”.

Altro argomento di punta dei 5 stelle è il ruolo della Rete nell’informazione, che vorrebbero superiore a quello della Tv. Renzi dice: “non siamo al 1995. Non ci sono più solo Mediaset e Rai. Nel 1995, non c’era Google. Oggi c’è Google, come si fa a dire che siamo fermi al duopolio di 20 anni fa?”. Poi fa degli esempi sull’utilizzo quotidiano di internet per informarsi, usa concetti semplici, citando cose familiari per chi guarda la Tv, come Ballarò, che oggi “può essere visto anche in streaming”.

Renzi con le parole ridisegna la realtà recuperando agli occhi degli elettori (e non solo) la leadership, minata dai dissidenti; la rafforza con l’uso di simboli, il 40,8% alle sue spalle; investe nel futuro con argomentazioni di una “nuova politica” prese da altri ma comunicate a modo suo.

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