Tre sconfitte di seguito. Un mese maledetto. La palla, e il destino, che non giravano più come prima. La felicità, e la serie A, che sembravano allontanarsi a grandi e inesorabili falcate. Gli occhi di Zeman non sorridevano più tra le righe. I suoi undici ventenni biancazzurri non danzavano più sul campo con quella leggerezza e quella spensieratezza che li avevano spinti così in alto. Fino alle porte del paradiso della massima serie. Il dio di cristallo del football s’era infranto.

Ma il Boemo alla vigilia della partita l’aveva detto: “Ve lo faccio vedere io se è finita Zemanlandia”. E fu di parola, per usare un eufemismo molto riduttivo. Lui che è un uomo di poche, ma sempre calibrate ed epigrafiche parole.  Certo, un’apoteosi di siffatte siderali proporzioni nemmeno un Voyager avrebbe mai potuto preconizzarla. Quella sera il Pescara di Zeman disputò forse la più grande partita della storia. Guadagnarsi la serie A, dopo quel match, sarebbe stato un gioco da ragazzi. Batté il Padova, squadra solida e gagliarda, in piena zona play-off, per 6 a 0. Avete capito bene: per sei a zero. E fuori casa. E avrebbe potuto benissimo vincerla per quindici a zero, visto l’andamento mostruoso ed epocale della Partita. Altro che il Milan di Sacchi. Altro che il Barcellona di Guardiola. Dalle parti semmai dell’Olanda micidiale di Van Gaal vista all’esordio mondiale contro l’altezzosa Spagna. In attacco inarrestabile dal primo al novantesimo minuto gli undici sconosciuti galattici guidati da Zeman. Occasioni da gol senza soluzione di continuità, in loop. Manovre di gioco avvolgenti; schemi tattici stupefacenti. Passaggi solo-di-prima. Tutti in movimento senza palla. Il diciottenne Marco Verratti, reinventato dal Boemo a nuovo Pirlo, a disegnare geometrie perfette e controtempo a centrocampo. E poi quei due Marziani lì davanti, nemmeno ventenni anche loro. Lorenzo “il Magnifico” Insigne, che si inventò due gol gloriosi e psichedelici. E Ciro Immobile, la sua ennesima doppietta, quell’anno di palle in rete ne avrebbe buttate una trentina,  nella sua prima stagione calcistica professionistica.

Sei a zero. Sei calci meravigliosi al lato oscuro della vita, e dello sport. Accadde soltanto due anni fa. Zdenek Zeman, che era stato dato per spacciato, bollito, anacronistico, portò il Pescara in Serie A al termine di una stagione leggendaria. Anche perché lì davanti c’erano loro: Lorenzo “Il Magnifico” Insigne, il fantasista imprendibile, via di mezzo tra Zola, Del Piero e i migliori folletti del calcio argentino e spagnolo; e Ciro Immobile, l’implacabile realizzatore, vigoria e talento, potente e categorico di testa, ma con piedi fini. Tanto poi a innescarli ci pensava lui: Marco Verratti, ormai il regista più desiderato del calcio mondiale.

Con Verratti, Insigne e Immobile titolari, l’Italia può volare altissimo in questi Mondiali. Anche Prandelli lo sa. Pensate che bella, una finale Italia-Olanda. Lo spirito rivoluzionario di quel fantastico Pescara di Zeman deve reincarnarsi in maglia azzurra. Vincere, convincere, stupire. Dritti in finale con gli Orange, spettacolo contro spettacolo, magari dopo aver battuto per 6-0, arbitri permettendo, il Brasile del sopravvalutato Neymar: con tripletta di Immobile, doppietta di Insigne, assist di Verratti.

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