La storia non dice mai addio, al massimo arrivederci. 

Se siete stanchi di Blatter e del business intorno al mondiale, se credete che la Croazia possa battere il Brasile in una ‘partita regolare’, se non ne potete più del tiki-taka spagnolo, se sognate di vedere ancora l’Italia giocare in contropiede, se avete programmato la sveglia per guardare nel cuore della notte un improbabile Costa D’Avorio-Giappone, se credete che il calcio sia ancora un’idea in bianco e nero, allora fermatevi un attimo, chiudete gli occhi, e puntate tutto sull’Uruguay

D’accordo, non è più il calcio eroico di Nasazzi e Varela, ma il mondiale è rappresentazione fedele di luci e ombre dello sport più amato del mondo. Dal capitalismo rampante che mercifica quasi ogni istante alla capacità di tenerci con il fiato sospeso per un mese, da stipendi e sponsor milionari alla semplicità disarmante di un pallone che rotola in fondo al sacco, dal calcio degli ‘astri brasiliani’ ai ‘maestri uruguagi’, così intraprendenti da vincere quando nessuno lo avrebbe pronosticato.

E’ proprio vero. La storia non dice mai addio, al massimo arrivederci.

Sono passati sessantaquattro anni. Sessantaquattro lunghissimi anni da quel 16 Luglio 1950. Una delle più grandi sorprese della storia del calcio. L’incredibile vittoria dell’Uruguay al Maracana contro il Brasile. L’Uruguay, con i suoi quasi tre e milioni e mezzo di abitanti, nazione di ‘vincenti’ senza lo snobismo di chi fa sempre risultato. L’Uruguay per chi ama mettere l’uomo davanti ad ogni cosa.

Era solo sul Rio della Plata che la prima, grande magia del calcio poteva compiersi: il football inventato dagli inglesi, smetteva di essere solo lancio lungo e cross, per divenire passaggio veloce e contropiede letale. La tecnica senza fronzoli al servizio di undici uomini, la metamorfosi a 360 gradi che porta il calcio a divenire metafora globale.

Al mondiale brasiliano, l’Uruguay, con la sua storia affascinante che profuma di declino, è il massimo rappresentante del calcio old style. Due vittorie mondiali, quindici Coppe America (nessuno nel continente ne ha vinte così tante), e poi giù fino all’arrivo del ‘Maestro’ Tabarez. L’Uruguay, fantasia e suggestione letteraria. L’Uruguay, terreno fertile per ‘invenzioni esilaranti’ come il Nasazzi’s Baton e per la penna dell’indimenticato Osvaldo Soriano.

L’Uruguay, mettere l’uomo prima di tutto. L’uomo con le sue emozioni, prima anche della vittoria. Come ci ricordano le intensissime parole (trasfigurate dalla penna di Soriano) di Obdulio Varela, leggendario capitano uruguagio, sugli eventi che seguirono la vittoria al Maracana:

“Ci siamo ficcati in un angolo a bere e di lì guardavamo la gente. Tutti stavano piangendo. Sembra una bugia; ma la gente aveva davvero le lacrime agli occhi. D’improvviso vedo entrare un tizio grande e grosso che sembrava disperato. Piangeva come un bambino e diceva: – Obdulio ci ha fottuti – e piangeva sempre di più. Io lo guardavo e mi faceva pena. Loro avevano preparato il carnevale più grande del mondo per quella sera e se l’erano rovinato. A sentire quel tizio, gliel’avevo rovinato io. Mi sentivo male. Mi sono accorto che ero amareggiato quanto lui. Sarebbe stato bello vedere quel Carnevale, vedere come la gente se la spassava con una cosa così semplice. Noi avevamo rovinato tutto e non avevamo ottenuto niente. Avevamo un titolo, ma cosa importava in confronto a tutta quella tristezza? Ho pensato all’Uruguay. La gente doveva essere felice. Ma io ero lì, a Rio de Janeiro, in mezzo a tutte quelle persone sconsolate. Mi sono ricordato del mio odio quando ci avevano segnato il goal, della mia rabbia, che adesso non era più mia ma mi faceva male lo stesso”.

Storie passate che ci aiutano, al meno per qualche giorno, a guardare al lato immortale del calcio. Quello che l’Uruguay con i suoi campioni dalla faccia sporca rappresenta appieno, come una specie di oasi per sognatori, fatta da gente che, resta aggrappata al calcio come idea più che come spot commerciale.

In quest’ottica l’Uruguay è ‘terra promessa’ e antidoto al calcio moderno. Antidoto con i suoi personaggi fuori dal tempo, antidoto con le sue imprese e le sue gesta, antidoto con il suo gioco corale, antidoto con le sue ‘stelle operaie’, antidoto dal sapore antico, umile e sobrio. Antico come le giocate di Nasazzi e Varela, umile come Tabarez, sobrio come il presidente Mujica.

Chiudete gli occhi e puntate tutto sull’Uruguay. La storia non dice mai addio, ma al massimo arrivederci.

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