C’è un crocevia essenziale nell’inchiesta Mose: il Cipe, il comitato interministeriale per la programmazione economica. Da questo centro di gravità, fra potere esecutivo e tattica burocratica, escono i milioni, che in fretta diventano miliardi, per la grande opera veneziana e per le tasche di imprenditori e politici. L’ultima delibera è datata 9 settembre 2013, pubblicata in Gazzetta ufficiale il 31 marzo 2014 e già questo lasso di tempo spiega perché Giovanni Mazzacurati e il Consorzio Venezia Nuova avessero così bisogno di avere l’appoggio di uomini chiave del Cipe, come l’ex capo dipartimento Paolo Emilio Signorini: tra la delibera e l’arrivo dei soldi, possono passare poche settimane o molti mesi, anche un anno, il capo dipartimento è il vigile che dirige il traffico e può far scattare i semafori verdi e rosso a sua discrezione.
Il Cipe funziona così: è presieduto dal premier, oggi Matteo Renzi, ci sono 13 membri, ma quelli che contano davvero sono i ministri dell’Economia, dei Trasporti e delle Infrastrutture. Questa triade decide cosa proporre al Cipe, quali sono le opere prioritarie da finanziare, poi al capo dipartimento spetta il compito di gestire la complessa macchina amministrativa che muove milioni di euro. Oggi il Cipe lo guida Ferruccio Sepe, fino a tre mesi fa di stanza a palazzo Chigi, al dipartimento per l’editoria dove ha ridotto in modo drastico i finanziamenti ai giornali e aumentato in modo efficace i controlli.
Fino un anno fa, il Cipe era il regno incontrastato di Paolo Emilio Signorini: studi a Yale, una carriera tra ministero del Tesoro e presidenza del Consiglio, fama di civil servant impeccabile. Poi le carte dell’inchiesta sul Mose (non risulta indagato) hanno rivelato la sua prossimità agli imprenditori veneziani arrestati. Ricostruire i rapporti che ruotavano intorno al Cipe e Signorini è utile per capire sia come agiva il gruppo del Mose sia per evidenziare il livello di arbitrio assoluto con cui possono essere gestite le opere pubbliche. Dall’ordinanza del gip di Venezia, Alberto Scaramuzza, si scopre che il Consorzio Venezia Nuova di Mazzacurati, il concessionario unico del ministero delle Infrastrutture per il Mose, ha pagato una vacanza in Toscana a Signorini nel giugno 2011: “Mazzacurati chiama il figlio Giuseppe e dalla telefonata si ha conferma che del pagamento di Signorini per il ‘mare’ se ne occuperà Francesca (De Pol, che è appunto la segretaria del Cvn)”. E infatti Signorini, quando arriva, vicino a Castagneto Carducci, chiama Mazzacurati per ringraziarlo: il presidente del Cvn cerca di fermarlo, perché sa di essere intercettato (“ho un problema col telefonino”), ma il capo del Cipe non coglie l’avvertimento e racconta: “Ho trovato tutto, tutto perfetto […] Abbiamo già fatto mezza giornata di mare”, poi chiede dove andare a cena.
Signorini e il Cipe sono fondamentali per Mazzacurati che vorrebbe il funzionario romano alla guida del Magistrato delle acque, l’istituzione veneziana che ha un ruolo decisivo nel processo di autorizzazione dei lavori in Laguna e per questo il Cvn tiene a libro paga due magistrati delle acque, Maria Giovanna Piva e Patrizio Cuccioletta, e avrebbero voluto fare lo stesso con Signorini, portandolo da Roma a Venezia, tanto lo consideravano di loro fiducia, ma alla fine nel 2013 la spunta il candidato sgradito al Cvn, Fabio Riva. Per la nomina di Signorini si attiva Ercole Incalza, il potentissimo funzionario del ministero delle Infrastrutture, più volte indagato (e sempre prosciolto) che nel 2004 ha beneficiato di 820mila euro ricevuti dall’architetto Angelo Zampolini (l’uomo della cricca) per un appartamento acquistato per sua figlia. Zampolini ci mette la differenza, accade a insaputa di Incalza, stesso trattamento e stessi protagonisti del mezzanino al Colosseo di Claudio Scajola. Incalza si attiva, tra 2011 e 2013, per ottenere la nomina di Signorini al Magistrato delle acque.
Incalza è il capo della “struttura tecnica di missione” che al ministero delle Infrastrutture si occupa di grandi opere. E in ogni delibera sul Mose del Cipe targato Signorini si legge che, in base a una legge del 2006, la “responsabilità dell’istruttoria e la funzione di supporto alle attività di questo comitato al ministero delle Infrastrutture e trasporti che può in proposito avvalersi di apposita Struttura tecnica di missione”. Ricapitolando: Signorini e Incalza operano insieme; gli imprenditori del Mose premono sui ministri membri del Cipe, arrivando a consegnare (secondo l’accusa) 500mila euro a Marco Milanese, principale collaboratore del ministro del Tesoro Giulio Tremonti, considerato non abbastanza collaborativo da Mazzacurati. Poi dialogano con l’amico Signorini che si accerta di far arrivare i provvedimenti sulla corsia rapida di approvazione e Signorini rimanda la gestione delle centinaia di milioni di euro “sbloccati” a un altro uomo di fiducia del giro Mose, cioè Ercole Incalza, per contro del ministero.
Un meccanismo perfetto. Che s’era incagliato nella primavera 2014. E fu sbloccato – dopo i contatti diretti fra Milanese e Mazzacurati e fra Tremonti e lo stesso Mazzacurati attraverso Roberto Meneguzzo di Palladio Finanziaria – con una delibera Cipe del 18 novembre 2010 da 400 milioni di euro. Fu Gianni Letta, all’epoca sottosegretario a palazzo Chigi, a consigliere all’anziano Mazzacurati di cercare l’attracco al Tesoro. La tensione di quei mesi – in ballo c’erano 400 milioni di euro – viene affrescato dal memoriale di Mazzacurati, confermato – annotano gli inquirenti – dall’interrogatorio di Piergiorgio Baita, il vice a Cvn: “Il dottor Meneguzzo mi metteva in contatto con l’on. Milanese, che si presentava come soggetto direttamente competente sul piano politico, a gestire le questioni del finanziamento delle opere alle bocche di porto. In sostanza, l’on. Milanese rappresentava che avrebbe assicurato che i finanziamenti di volta in volta richiesti dal ministero delle infrastrutture sarebbero stati concessi con positivo parere del ministero dell’Economia solo se gli fosse stata assicurata la disponibilità di una somma di euro 500.000,00. Tale dazione avveniva nel corso dell’anno 2010 a Milano, presso gli uffici di Palladio Finanziaria in presenza del dottor Meneguzzo”.
Tra il 23 aprile (2010) e il 28 luglio ci sono decine di chiamate e messaggi fra Mazzacurati e Meneguzzo. La delibera tanto desiderata (e tanto costata, secondo l’accusa) è timbrata 18 novembre 2010, ma già il 31 maggio 2010 un decreto legge – n.78, articolo 46, comma 3 – prevede che “il Cipe, su proposta di Tesoro e di concerto con i Trasporti [c’era Altero Matteoli, che dai faldoni assume un ruolo, ndr], dà priorità al finanziamento Mose nel limite massimo di 400 milioni di euro”. Esattamente quel che chiedono Mazzacurati e soci. Al Cipe, va ricordato, c’è Signorini. Al Tesoro, la coppia Tremonti-Milanese. Il ministero è rapido: il 23 settembre il Magistrato alle Acque sollecita i 400 milioni, il 29 il Tesoro individua risorse per 231,8 milioni (a spese di alcune revoche di stanziamento). E l’11 ottobre, sbocciano altri 230 milioni di euro.
Il Cipe e la struttura di Incalza completano il percorso e il 18 novembre c’è il via libera. Quando Signorini lascia il Cipe, si trasferisce proprio al ministero delle Infrastrutture e dei trasporti guidato, sotto Enrico Letta e ora con Renzi, da Maurizio Lupi. La sua nuova mansione è quella di “Capo del Dipartimento per le infrastrutture, gli affari generali ed il personale”, come si legge nel decreto di nomina del Quirinale del 4 giugno 2013. Una posizione meno strategica di quella di capo del Cipe, ma anche da lì Signorini può essere prezioso per gli amici del Mose.
Il 28 ottobre 2013 l’ex capo del Cipe dal ministero dei Trasporti firma un “Avviso pubblico di selezione per l’individuazione del capo della struttura tecnica di missione per l’anno 2014”, cioè il ruolo che Ercole Incalza ricopre con rinnovi di anno in anno, secondo la bizzarra tradizione italiana per la quale importanti dirigenti ministeriali possono essere inquadrati come collaboratori. I requisiti prevedono un’esperienza almeno decennale in posizioni simili, che praticamente solo lo stesso Incalza può vantare. I curricula vengono valutati da una commissione nominata dallo stesso Signorini. Alla fine il vincitore risulta essere – sorpresa! – il solito Ercole Incalza. Non c’è rottamazione che possa smontare la rete di potere degli amici del Mose.