L’indicibile entra dentro le nostre case. Sotto forma di omicidi di donne, donne e bambini, bambini o anziani. Solitamente è un maschio predatore l’omicida. Solitamente è il maschio di casa.
I processi perdono interesse nel tentativo di comprendere quello che accade nel momento in cui si sopprime una vita umana. I binari lungo i quali si suole procedere sono troppo semplificati per cercare di comprendere l’agito di una persona che decide, un bel giorno, che la propria compagna, la nonna, il proprio figlio, rappresentano un ostacolo ai suoi progetti grandi o piccoli che siano.
Accade che la strada della medicalizzazione, della rappresentazione della follia, sia la più semplice e soprattutto rassicurante per chi, attonito, legge di simili notizie. Ma pur accadendo questo, niente e nessuno ci esime dal interrogarci sul perché accadono simili omicidi.
Sono sempre più convinto che se non si torna a parlare di educazione sentimentale, di capacità di riconoscere l’altro come parte fondante di te, questo “indicibile” soppianterà per numero e sgomento, l’avidità che, da che mondo è mondo, appare la prima delle cause di soppressione della vita altrui.
L’omicidio tra “cari” si fonda sulla negazione dell’altro. Puro ostacolo, come un fosso da superare o un porta da abbattere. E proprio perché non riconosci l’altro, il suo corpo esamine ti lascia indifferente alla pari della porta abbattuta. In un’epoca di manifestazione estrema di intimità svelate sublimiamo con le parole la assoluta mancanza di capacità di leggere, vivere, interiorizzare la sostanza di un legame.
La soppressione dell’altro, per nostra fortuna, rimane l’epifenomeno di una tendenza che solo la riappropriazione di una educazione sentimentale potrà invertire. Nella vita quotidiana, però, assistiamo ad uno stillicidio di piccoli episodi che negano esistenza all’altro. Episodi velenosi, non estremi, ma che minacciano, più della crisi economica, il futuro dei nostri figli.