Caro Presidente del Consiglio, non punisca la Rai.
Porti avanti un’azione di miglioramento della Rai nell’interesse di tutti e non ceda alla tentazione di una “punizione” che sarebbe quanto mai ingiusta e causerebbe danno a tutto il Paese.
Da attivisti che si battono da anni per una riforma e un rafforzamento del Servizio Pubblico televisivo, non vorremmo che una necessaria revisione del ruolo e della gestione dell’azienda Rai si trasformasse nella messa in scena di una lotta che non ha ragione di essere se guardiamo la situazione alla luce della reale, e risaputa, natura dei rapporti tra il servizio pubblico televisivo e il potere esecutivo.
La Tv pubblica è infatti, in base alle leggi italiane, direttamente controllata dal Parlamento, dopo essere stata per decenni dalla sua nascita controllata, sempre per legge, direttamente dal governo. Attraverso la Commissione di Vigilanza viene nominato il Consiglio di Amministrazione. I partiti, tutti e in base al proprio peso e alle fortune del momento, hanno un potere determinante nella scelta delle persone che devono ricoprire i ruoli direttivi e che quindi prenderanno le decisioni all’interno dell’azienda.
La lottizzazione del Servizio Pubblico, siamo onesti, non è mistero per nessuno, se ne parla senza remore dentro e fuori la Rai, ci si scrivono saggi e tesi di laurea.
E dunque, Presidente, le scelte della Rai sono il frutto di chi lì è stato messo/a dai partiti e dai governi. Da questo punto di vista, non esiste una Rai separata, un’azienda autonoma che possa fare scelte esclusivamente nel proprio interesse e quindi, in questo caso, nell’interesse dei cittadini/e, come dovrebbe fare un servizio pubblico che potesse agire come tale. La Rai è occupata dai partiti, tutto ciò che le viene contestato deve essere contestato a loro. Di questa consapevolezza deve tener conto seppure Lei sia arrivato da poco alla guida del Pd e del Governo. Deve tenerne conto, facilitato dal fatto che è il massimo rappresentante di un partito che ha un enorme, effettivo potere sulla e nella Rai. Se la gestione del Servizio Pubblico si è rivelata inadeguata, frutto di 30 anni di errori, il conto non va chiesto alla Rai, che come entità autonoma non esiste, ma a chi ha scelto le sue molte teste. Faccia un salto in avanti nell’interesse di tutti: non chieda conto, prefiguri invece una riforma che porti davvero la Rai ad essere autonoma dal potere partitico e le impedisca di essere “divorata” dagli interessi privati. Tutto il resto è ipocrisia.
Caro presidente del Consiglio, le chiediamo di non cercare facile consenso su un tema come questo che fa inferocire larghe fette di pubblico che erroneamente credono che la Rai abbia davvero causato in autonomia la grave condizione nella quale si trova: significherebbe preparare il terreno a una quanto mai pericolosa privatizzazione della Rai. Se infatti per recuperare i 150 milioni chiesti come sacrificio alla Rai, questa dovesse vendere RaiWay, ovvero l’azienda del gruppo che detiene e gestisce tutto l’hardware delle comunicazioni televisive sul territorio nazionale, la privatizzazione sarebbe di fatto avvenuta essendo RaiWay il senso, il valore, il cuore di un operatore di Servizio Pubblico. Ma nessuno stato moderno e democratico può pensare di privarsi di un servizio pubblico forte e faro del sistema televisivo.
Gli errori e gli sprechi della Rai si superano con la volontà politica di rendere davvero autonoma l’azienda dai partiti,di cui non si intravede l’intenzione.
Gli errori e gli sprechi si contrastano combattendo l’evasione del canone. Questo è il più basso e il più evaso d’Europa ricordiamolo, e si paga malvolentieri solo perché la Rai non propone, con poche eccezioni, quel livello di programmazione alla quale sarebbe tenuta dal suo ruolo, ancora una volta a causa di decisioni prese da chi è stato scelto dai partiti. Con adeguato contrasto all’evasione si recupererebbero facilmente i 150 milioni che vengono richiesti dal Governo.
Gli errori e gli sprechi si superano facendo realizzare alla Tv pubblica prodotti che siano non solo adeguati al suo ruolo, ma che siano anche vendibili all’estero, creando così ulteriori entrate. Per far questo i programmi dovrebbero avere intento culturale e popolare, due termini che non sono per niente in contraddizione, anzi, come sa chiunque abbia visto almeno uno dei principali canali pubblici europei o abbia lavorato seriamente in una televisione. Popolare + culturale vuol dire: innovazione delle idee, dinamicità, collegamento con la realtà e con il mondo digitale della Rete. Solo così il pubblico tornerà ad apprezzare la Tv pubblica e pagherà d’ora in poi volentieri i 30 centesimi giornalieri del canone.
Gli errori e gli sprechi si risolvono valorizzando quella parte di Rai che non è emanazione degli interessi dei partiti e della quale non si parla. E’ la parte costituita trasversalmente da molte persone che ricoprono c ruoli e compiti differenti, pensiamo in particolare a registi, programmisti, montatori, a chi lavora negli studi o nelle esterne, a chi quotidianamente cerca di svolgere al meglio il proprio ruolo, opponendosi spesso alle scelte scellerate di chi lì è stato catapultato dall’alto non per fare gli interessi pubblici ma quelli di parte. Pensiamo a chi lavora in Rai per merito e non per raccomandazione. A chi ci lavora percependo in realtà gli stipendi più bassi d’Europa se messi in relazione alle proprie competenze professionali. Dare voce e tutela a queste persone è un passo semplice e concreto per migliorare la Tv pubblica da dentro.
Non si tratta quindi di distruggere un’azienda che, come una città occupata da forze nemiche, non è stata gestita nell’interesse proprio e quindi pubblico, ma nell’interesse di chi l’ha occupata. Si tratta di metterla in condizione di camminare da sola e, a quel punto, chiederle con intransigenza conto del proprio operato.
Caro presidente del Consiglio, fortunatamente ora si inizia a sentire anche da parte del Pd, dopo che da anni viene sostenuta con forza da molti cittadini/e e associazioni, la proposta di una riforma sul modello della Bbc, formula rivelatasi vincente da tutti i punti di vista. Questo modello prevede 1 canale dei 3 generalisti pubblici senza pubblicità e finanziato da tutto il canone, con l’obbligo di fare una programmazione adeguata al proprio ruolo, e gli altri 2 che raccolgono pubblicità e fanno concorrenza alla Tv privata. C’è da sperare in questa riforma che potrebbe davvero funzionare se accompagnata anche dalla riforma dell’organismo della rilevazione degli ascolti, cioè l’Auditel. La riforma dell’Auditel dovrebbe vedere l’uscita della Rai dalla società che la controlla, dove oggi siede con Mediaset e pubblicitari, per permettere una maggiore distanza di questo organismo di controllo dai diretti interessati coinvolti nel mercato pubblicitario televisivo, e permettere così una maggiora trasparenza di ruoli e responsabilità. E dovrebbe prevedere la messa a punto di un metodo nuovo di rilevazione basato anche sul consenso e non più solo sulla quantità come avviene oggi.
Altrimenti significa che non c’è reale interesse di riformare in meglio la Rai, ma che si è alla ricerca di una scusa per smembrarla dopo averla sfruttata per decenni. Nessuno Stato può rinunciare ad un Servizio Pubblico, non lo ha fatto nessuno dei grandi paesi europei, anche se guidati per decenni da forze liberiste. Perché la soppressione o l’indebolimento del Servizio Pubblico non avvantaggia nessuno, nemmeno il mercato.
Confidiamo nel suo intervento.
(articolo scritto con Cesare Cantù, docente di educazione ai media)