Nel giorno in cui al capogruppo del Pd al Senato, Luigi Zanda, è chiesto di ricucire con i 14 dissidenti del suo partito, frattura esplosa con il caso Mineo, gli archivi e la memoria giocano un brutto, bruttissimo scherzo proprio al mediatore della difficile partita interna al Nazareno. Era giusto due anni fa, il 5 luglio del 2012. Il presidente del Senato, Renato Schifani, allora Pdl, sostituì d’imperio, revocandolo dalla commissione di Vigilanza Rai il senatore azzurro Paolo Amato. Al suo posto ci mise Pasquale Viespoli, rappresentante di Coesione Nazionale (i “responsabili” del Senato) per una questione legata al riequilibrio della maggioranza interna all’organismo bicamerale, ma soprattutto perché Viespoli era assai più organico a Berlusconi di quanto lo fosse Amato. Un atto d’imperio che fu salutato da Zanda con toni molto duri e una censura politica senza appello: ”Oggi abbiamo ascoltato una modalità tutta nuova di interpretare il regolamento, una modalità più da giocoliere che da interprete del diritto – questa la dichiarazione di Zanda riportata dall’Asca il 5 luglio 2012 – Schifani ha citato alcune norme e ne ha omesse altre. Ad esempio ha omesso di ricordare che il regolamento dispone la sostituzione dei membri della commissione solo in tre ipotesi: dimissioni, incarico di governo o cessazione per mandato elettorale. Nel caso del senatore Amato nessuna di queste circostanze si è verificata”. “Il senatore Amato – ribadiva Zanda – non si è dimesso. E’ accaduto altro. E Schifani doveva spiegare perché la sostituzione del senatore Amato, non dimissionario, è stata disposta d’autorità, in un’ora, mentre il seggio elettorale era aperto”. ”Una modalità, questa – continuava indomito Zanda – che esula dalla terzietà che la seconda carica dello Stato dovrebbe esercitare”. Per Zanda, Schifani ”ha perso credibilità, anche ammettendo emendamenti inammissibili sul Senato Federale e sul semipresidenzialismo” e ”asseconda l’interesse non di Berlusconi leader politico, ma di Berlusconi come impresario televisivo, già ben sostenuto dalla legge Gasparri”.
La similitudine tra il caso dell’epoca, che anche Anna Finocchiaro condannò con grande enfasi e su cui il Pd costruì l’ennesima battaglia contro Berlusconi, reo di voler piegare ai suoi voleri le istituzioni, anche attraverso “violazioni evidenti del regolamento”, e il caso Mineo di questi giorni sono evidenti. Fin troppo. Eppure, Luigi Zanda non ricorda. Sentito dal Tempo, il capogruppo ha detto di non ricordare assolutamente l’avvenimento, né di essersi scagliato contro Schifani nel nome del rispetto delle regole e della democrazia. “La reazione del Pd fu veemente, in Aula e fuori – racconta invece l’ex senatore democratico Lucio D’Ubaldo – la sostituzione del commissario Pdl era giudicata inammissibile, contro le regole, un vero e proprio vulnus inferto alla democrazia parlamentare. I senatori del centrosinistra si dichiaravano pronti a bloccare i lavori in Assemblea. Solo la dichiarazione dell’interessato, il senatore Amato, mise fine alla polemica: si dimetteva… spontaneamente. È umiliante per tutti, non solo per i democratici, vedere come cambia a piacimento il giudizio e la condotta politica a seconda delle circostanze e delle convenienze. Le Istituzioni non sono al servizio dei partiti. Il precedente, cui si voleva giustamente opporre una barriera, oggi lo realizza il Pd. Questo significa cambiare verso?”.
A Pippo Civati non è parso vero che gli archivi e la buona memoria di alcuni cronisti abbiano scoperchiato l’ipocrisia democratica sul caso Mineo, il classico “due pesi, due misure” a seconda della convenienza del momento: “Allora Zanda chiese a Schifani di spiegare un fatto inedito e inaccettabile – sottolinea Civati – contrario al dettato costituzionale. Notare anche il contributo di Anna Finocchiaro: oggi dice che le sostituzioni sono necessarie, allora le visse con disappunto e scandalo”. Al Nazareno, dopo questa dichiarazione, sono subito corsi in soccorso dello smemorato Zanda. “Rispetto alle dichiarazioni con cui Pippo Civati associa quanto avvenuto in questi giorni in Senato alla sostituzione del senatore Paolo Amato in commissione di Vigilanza Rai – interviene una nota ufficiale del Pd – si precisa che quella vicenda non ha alcuna analogia con la sostituzione dei senatori del Pd in commissione Affari costituzionali. Nel 2012 Zanda criticò la decisione del presidente Schifani solo ed esclusivamente perché riferita alla sostituzione di un senatore nella Commissione di vigilanza sulla Rai i cui lavori debbono osservare uno speciale regolamento che, ai sensi dell’art. 3, prevede la sostituzione di un componente solo ‘in caso di dimissioni, incarico governativo e cessazione dal mandato elettorale’. Questa norma non compare nel Regolamento del Senato a proposito delle Commissioni permanenti. Aggiungiamo che la sostituzione del senatore Amato venne disposta dal Presidente del Senato. E’ un’altra bella differenza con il caso attuale”. La sostituzione di Corradino Mineo, infatti, è stata dettata direttamente da Matteo Renzi, che non è in Parlamento, ma è addirittura il presidente del Consiglio e ratificata in una riunione del gruppo del Pd del Senato, in assenza dell’interessato sotto “processo interno”. E’ vero, è davvero differente dal caso del 2012. E’ molto peggio.