Nel medioevo italiano di ritorno, i luoghi privilegiati della devozione, mete di pellegrinaggio per le folle credenti, si susseguono nell’alternarsi di sempre nuove apparizioni miracolose. Agli albori degli anni Novanta del Ventesimo secolo, giunto da Montenero di Bisaccia, fece la sua apparizione tra i corridoi del Palazzo di Giustizia ambrosiano un profeta contadino che predicava il rito purificatore delle mani pulite.
L’emozione fu grande; mentre torme di flagellanti – tra cui spiccava una pattuglia di giovani neofascisti mista a valligiani leghisti – sostavano per giorni interi innanzi al tribunale inneggiando al nuovo Savonarola, fustigatore della corruzione: l’integerrimo e rustico Tonino. Sebbene già si vociferasse di una sua qualche spiccata propensione per “la roba” cara a Mastro don Gesualdo, specie se immobiliare.
Mentre l’antico stilita Pannella si adoperava nell’abituale confusionismo per ricondurre le nuove credenze in alvei maggiormente controllabili (la “questione morale” virata in “questione istituzionale”), da Cologno Monzese giungevano messaggi alternativi. Se ne faceva portavoce un Sant’Agostino redivivo, la cui precedente biografia edonistica da vero scavezzacollo sciupafemmine diventava preludio alla santificazione; rivestita in panni americanizzati, tra Dallas e il Padrino: era Silvio, l’unto del Signore. Torme di teledipendenti – tra cui spiccava la pattuglia di neofascisti giovanili mista a leghisti inurbati – gli si strinsero attorno per sfiorare un lembo della sua veste taumaturgica ed entrare nel regno del bengodi (previo il pagamento di una totale sottomissione servile ai suoi capricci).
Ci vollero quasi vent’anni per rendersi conto che la promessa Rivoluzione Liberale risultava un colossale imbroglio e che il nunzio era fasullo, almeno quanto la sua maschera scolpita nel botulino antirughe e nelle tinture.
Nel frattempo il popolo di Sinistra proseguiva la ventennale traversata del deserto liberista; smarrito in quell’immensa solitudine. Finché sulle pendici della Murgia non risuonarono le narrazioni di fra Nichi, intessute di parole magiche e formule esoteriche simil-poetiche alla Franco Battiato. Torme di assetati e affamati di sinistrismo rossoantico – tra cui questa volta non spiccavano inquartati neofascisti e leghisti, rimasti a stripparsi nelle sagrestie delle istituzioni – accorrevano alle prediche del fraticello con l’orecchino. Incanto spezzatosi d’improvviso, quando l’affabulazione vendoliana venne smascherata dalle sghignazzate telefoniche con un armigero del Padrone delle Ferriere.
Nel frattempo – però – l’interminabile ricerca del messia sembrava essere giunta al proprio felice compimento: in un tripudio di “vaffa” e di “belin”, tra Bologna e Torino era comparsa la barba brizzolata e la criniera cotonata di Beppe da Sant’Ilario; subito asperse con i flussi benedetti del Web da GianRoberto il battezzatore.
Torme di credenti nella Rete – tra cui spiccava la pattuglia di neofascisti e leghisti convertiti al nuovo protestarismo – testimoniarono il miracolo di fede dell’epifania democratica, diretta e digitale, che avrebbe cacciato via dal tempio della politica i mercanti e i mestieranti. Fiducia presto perduta, quando fu evidente che Beppe e il Battezzatore invece di moltiplicarli non sapevano che pesci prendere e si aggiravano per l’Europa sottobraccio a imbarazzanti destrorsi albionici. Mentre i loro apostoli novisti (il fighetta Di Maio e il pop Di Battista) si rintanavano nel più spudorato e vetero signorsì dello yes-man.
Ormai era maturo il pellegrinaggio definitivo a Canossa dal premier (sia pure in streaming); a seguito dell’avvento definitivo che smascherava i precedenti fasulli: nella mangiatoia di una stalla a Rignano sull’Arno era nato il bambinello annunciato dalle scritture, colui che avrebbe spalancato le porte del Regno dei Cieli e garantito ottanta euro in busta paga (alla fascia di elettori target).
Torme pari al 40% dei votanti – tra cui spiccava la nutrita pattuglia di stagionati neofascisti, massoni fiorentini e leghisti da imbarco (magari usando l’Anci come traghetto) – accorrevano portando in dono oro, incenso, mirra e sottomissione. La vera fede trionfava. Dopo tanto peregrinare, il bisogno di credere di un intero popolo aveva trovato il proprio punto fermo. Appunto, in una greppia toscana.