Le cellule staminali in Italia non sono solo fonte di polemiche e contenziosi nelle aule giudiziarie. Lo dimostra una nuova procedura, messa a punto dai ricercatori dell’Ospedale pediatrico Bambin Gesù, che ha già salvato la vita di decine di bambini con malattie genetiche rare o tumori del sangue. Illustrata oggi a Roma, la metodica ha già avuto un primo riconoscimento internazionale con la presentazione dei risultati lo scorso dicembre a New Orleans, nel corso del congresso della Società americana di ematologia, e la pubblicazione sulla rivista specializzata “Blood”. “Si tratta di una tecnica innovativa di ingegneria dei trapianti di midollo che, in assenza di donatore compatibile, consente il trapianto dai genitori ai figli”, spiega Franco Locatelli, responsabile del reparto di Oncoematologia e medicina trasfusionale dell’ospedale della Santa Sede. “Il protocollo messo a punto nei nostri laboratori – gli fa eco entusiasta Bruno Dallapiccola, direttore scientifico dell’ospedale romano – rappresenta una pietra miliare nella terapia di molte patologie del sangue ed è destinato a incidere radicalmente sulla loro storia naturale”.
Il metodo è stato testato finora su circa 70 bambini affetti da leucemie e su una trentina di piccoli pazienti con malattie rare che coinvolgono il sangue o il sistema immunitario, come la talassemia, l’immunodeficienza severa, o l’anemia di Fanconi. Ma in cosa consiste la nuova metodica? “La tecnica – chiarisce Alice Bertaina, responsabile dell’unità trapianti di midollo del Bambin Gesù – consiste nel ripulire le cellule staminali del donatore, che può essere indifferentemente uno dei due genitori, eliminando solo quelle cattive che causano le principali complicazioni, ma preservando, allo stesso tempo, una grande quantità di cellule buone che proteggono il paziente dalle infezioni, soprattutto nei primi mesi successivi al trapianto. Questo metodo di trapianto di cellule staminali – aggiunge la studiosa – consente di avere oltre il 90% di probabilità di cura definitiva, e di ottenere una percentuale di successi confrontabile a quella che si aveva cercando un donatore compatibile”.
Fino a pochi anni fa le tecniche di manipolazione cellulari adoperate nei trapianti di midollo osseo comportavano, infatti, un elevato rischio di mortalità, a causa soprattutto di infezioni. Inoltre, i trapianti da uno dei due genitori erano caratterizzate da una probabilità di successo significativamente inferiore a quella ottenibile impiegando come donatore un fratello o una sorella, oppure un individuo immunogeneticamente compatibile, identificato al di fuori dell’ambito familiare.
In Italia, nel 2013, sono stati sottoposti a trapianto di midollo da donatore esterno per malattie non maligne 125 bambini. Grazie a questa nuova procedura, secondo gli esperti, almeno altri 40 bambini l’anno, destinati ad esempio a dipendenza cronica da trasfusioni, potranno avere una chance di guarigione definitiva. “Con questa tecnica possiamo offrire a tutti la speranza di un trapianto efficace per diversi tipi di malattie – sottolinea Locatelli -. Nonostante i registri dei donatori volontari di midollo osseo, che contano ormai più di 20 milioni di iscritti, e le banche di sangue cordonale e placentare, pari a 600mila unità in tutto il mondo, infatti, il 30-40% dei pazienti non riesce ancora a trovare un donatore idoneo”.