Piove a Brembate di Sopra, come la sera in cui Yara uscì di casa e non tornò più. Il piccolo paese alle porte di Bergamo è sospeso su un fragile equilibrio di sentimenti. Il dolore è sempre stato vissuto in silenzio, fin da quel 26 novembre 2010. Non fu sguaiato neppure il 26 febbraio, quando il cadavere della 13enne venne ritrovato abbandonato in un campo di Chignolo d’Isola. Adesso però affiora la rabbia. È stata tenuta nascosta per tre anni e mezzo ma ora è pronta per essere scagliata contro una faccia ben riconoscibile, contro un nome e un cognome scritti nero su bianco su un verbale di fermo per omicidio. “Ignoto 1” non esiste più. Adesso esiste un’identità precisa: Massimo Giuseppe Bossetti, muratore di 44 anni, nato a Clusone e abitante a Mapello. Per i carabinieri del comando provinciale di Bergamo, per la polizia e per la procura di Bergamo è lui l’assassino.
“Un ragazzo normale, con una moglie e tre figli, chi l’avrebbe detto?”. Al bar Loto, dietro casa della famiglia Gambirasio in via Rampinelli, c’è poca gente, per lo più ragazzi. È tardi. La notizia è già corsa in tv, è stata vista di sfuggita su Facebook e metabolizzata. Qualcuno vagamente ricorda di aver intravisto la faccia di Bossetti al bancone. “Giusto per un caffè, un buongiorno, un buonasera e nient’altro”. “Ma sì, è quello che ogni tanto parcheggiava in fondo alla strada, vicino al campo. Andava con l’aliante” ricorda uno spilungone, 16 anni o poco più, la stessa età che avrebbe avuto Yara se fosse ancora viva. “Si vedeva che era un tipo strano, ma non avrei mai detto che potesse essere lui l’assassino. Spero che muoia” dice un po’ imbarazzato. “Molti dei miei clienti lo conoscono e quando hanno saputo dell’arresto (fermo, ndr), sono rimasti sbalorditi”, racconta a bassa voce la barista mentre mette gli ultimi bicchieri a posto prima di chiudere: “Spero che abbia la punizione che si merita. Il papà di Yara viene spesso qui, è una brava persona e non si merita tutto questo”. “Una mia amica mi ha detto di conoscerlo di vista, abita vicino a casa sua. Era terrorizzata, mi ha detto: ‘Esiste veramente un mostro del genere’”. A Brembate di Sopra non si parla volentieri di quello che è successo tre anni e mezzo fa e neppure di quello che è successo oggi. Gli unici commenti dell’ultima tavolata di un ristorante vicino sono tutti dedicati a lui. A questo muratore biondo e dagli occhi azzurri, padre di due bambine e di un bimbo più grande, che su Facebook posta foto insieme alla famiglia e ai tanti cani e gatti che tiene in casa. Per lui gli auguri di morte vengono pronunciati con pudore, quasi con vergogna. “Ma in fondo, non è la fine che si merita uno che fa una cosa del genere?” spiega una signora al tavolo abbassando lo sguardo.
La casa della famiglia Gambirasio intanto è avvolta nel silenzio protetto da una gazzella dei carabinieri e da una volante della polizia municipale. Davanti, solo una sparuta troupe di giornalisti. Ma papà Fulvio e mamma Maura, pur mantenendo la solita dignitosa riservatezza, hanno fatto trapelare la loro riconoscenza agli investigatori. Perché il loro non è stato un lavoro semplice. A volte è sembrato battere piste morte e imboccare strade senza via d’uscita. Ma alla fine è si è rivelata un’indagine da manuale investigativo.
Sono serviti tutti quei tre anni e mezzo per risalire al presunto assassino di Yara. I carabinieri hanno dovuto rintracciare il Dna del figlio illegittimo di Giuseppe Guerinoni, l’autista di bus morto nel ’99. A quell’uomo, chiamato finora “Ignoto 1”, appartiene il Dna delle tracce genetiche ritrovate sul cadavere della 13enne. Ma finora è rimasto un fantasma, proprio perché illegittimo. Così come era sconosciuta la madre biologica con la quale Guerinoni lo aveva concepito. Una volta risaliti a lei ai carabinieri mancava la prova decisiva: il Dna di Bossetti. Per recuperarlo hanno usato un piccolo trucco: un normale posto di blocco durante il quale il 44enne è stato sottoposto al test dell’etilometro.
È stato questo l’ultimo tassello che ha portato al fermo. L’accusa di omicidio gli è stata contesta dal pm Letizia Ruggeri negli uffici del comando provinciale di Bergamo. Bossetti si è avvalso della facoltà di non rispondere, prima di essere trasferito nel carcere della città in attesa della decisione del gip. Quando è uscito a bordo di una volante, una decina di persone mischiate alla schiera di giornalisti gli ha urlato: “Devi morire, bastardo!”. Poi si è levato un applauso. Era dedicato agli investigatori, gli uomini della Polizia di Stato e i militari dell’Arma dei carabinieri, che hanno saputo trovare il presunto “mostro” lì, dove si nasconde quasi sempre, in mezzo alla “gente normale”.