Il crimine efferato di Motta Visconti, strage mostruosa dettata da una cinica lucida mente malata invasa dal nulla, inaudita violenza su corpi innocenti sangue del tuo sangue e la coincidenza dell’evocazione di un altro crimine orrendo come quello di Yara, hanno ieri pressoché unificato i sentimenti, trasfusi nei social network traducendoli in una sola richiesta: pena di morte a tali criminali.
L’orrore che cola nelle nostre placide vite desta sgomento, raccapriccio, indi giustificato sdegno. Un moto di stizza pervade i nostri corpi, si coagula nelle nostre menti, si traduce in parole dure come pietre, affilate e accuminate come punte di lance. Tutto ciò è umano. Ma andiamoci cauti nell’invocare la pena di morte.
Il rigurgito con cui si invoca costantemente la legge del taglione o ius talionis o lex talionis, affermatasi nel diritto romano arcaico, costituito dalle XII tavole, nella cui Tavola VIII inerente gli illeciti è scritto “Si membrum rupsit, ni cum eo pacit, talio esto” ossia “Se una persona mutila un’altra e non raggiunge un accordo con essa, valga la legge del taglione” è aberrante. Giova ricordare come tale principio viga ancora nel diritto islamico dove è accolto il principio dell’occhio per occhio, ancorché sia previsto, spesso con una minuziosa casistica, anche il principio di “compensazione pecuniaria” (in arabo diya, tradotto “prezzo del sangue”), con cui è possibile evitare il ricorso all’occhio per occhio pagando risarcimenti in denaro.
La vecchia Europa è fiera nell’aver rimosso la pena di morte, a differenza di ciò che accade oltre Oceano (negli Stati Uniti) e in tanti altri Paesi ritenuti arcaici, incivili.
Per spiegare quanto il richiamo alla pena di morte sia altrettanto orrendo e sbagliato, non è necessario scomodare Cesare Beccaria che ne “Dei delitti e delle pene” (1764) sviluppa la più autorevole ed efficace critica alla pena di morte, auspicandone l’abolizione. Beccaria sottolinea come «l’esperienza di tutti i secoli» dimostri che «l’ultimo supplicio» non abbia mai «distolti gli uomini determinati dall’offender la società». Ciò che rileva «Non è l’intensione della pena che fa il maggiore effetto sull’animo umano, ma l’estensione di essa». Il massimo effetto dissuasivo non discende dallo spettacolo «terribile ma passeggero» della morte di un criminale, ma dal «lungo e stentato esempio di un uomo privo di libertà, che, divenuto bestia di servigio, ricompensa con le sue fatiche quella società che ha offesa». Questo, a ben vedere, è il deterrente che incide veramente sulla determinazione a delinquere. Il «freno più forte contro i delitti» è dunque «la pena di schiavitù perpetua», che deve sostituirsi alla pena di morte, mentre la presunta esemplarità di quest’ultima ha invece effetti contraddittori in quanto la pena capitale «diviene uno spettacolo per la maggior parte e un oggetto di compassione mista di sdegno per alcuni» e diseducativa «per l’esempio di atrocità che dà agli uomini».
Ritornare alla pena di morte costituirebbe un percorso a ritroso, degno del peggiore oscurantismo. Opporre barbarie a barbarie, bestialità a bestialità (scusandomi con gli animali, incapaci di violenza gratuita, dai quali avremmo tanto da imparare), violenza a violenza, ci renderebbe ancora più “bestie delle bestie”.
Citerò invece e in conclusione Martin Luther King: “La bellezza potenziale della vita umana è costantemente deturpata dal sempre ricorrente canto di vendetta dell’uomo. (…) Gli oceani della storia sono resi turbolenti dai flussi sempre insorgenti della vendetta. L’uomo non si è mai sollevato al di sopra del comandamento della lex talionis (…) Ad onta del fatto che la legge della vendetta non risolve alcun problema sociale, gli uomini continuano a seguire la sua disastrosa guida. La storia risuona del frastuono della rovina di nazioni e di individui che hanno seguito questo cammino autodistruttivo. Gesù affermò eloquentemente dalla croce una legge più alta. Egli sapeva che l’antica legge dell’occhio per occhio avrebbe reso tutti ciechi, e non cercò di vincere il male col male: vinse il male col bene. Crocifisso dall’odio, rispose con amore aggressivo. Che magnifica lezione! (…) solo la bontà può eliminare il male e solo l’amore può sconfiggere l’odio” (M.L. King, La forza di amare, 1963, 66).
Ascoltiamo chi ci ha insegnato ad amare, smuovendo le montagne, cambiando la storia. Anche dinanzi all’atrocità che ci accompagna nella quotidianità.