Due ragazzi italiani hanno messo a punto un sistema distribuito e a basso costo per controllare il livello della marea nella laguna. Merito della tecnologia e del "civic hacking", filosofia per la soluzione dei problemi che parte "dal basso": sensori ecologiche sulle abitazioni private e open data per far partecipare i cittadini coinvolgendoli nella realizzazione di un servizio che ha un interesse collettivo
Gli scandali legati alle tangenti sulla realizzazione del Mose non sono l’unico frutto dei tentativi di affrontare il problema dell’acqua alta a Venezia. Mentre i politici corrotti pasteggiano sui mega-appalti, ci sono persone che mettono a disposizione le loro competenze per risolvere i problemi in maniera alternativa, coinvolgendo i cittadini grazie alle nuove tecnologie. L’altra faccia della medaglia si chiama Acqualta (www.acqualta.org), un progetto di civic hacking avviato nel 2013 da Luca Corsato e da Andrea Raimondi e che consiste nella realizzazione di un sistema “alternativo” per il rilevamento della marea nella città di Venezia. «Si tratta di un sistema distribuito, che prevede l’uso di sensori installati sugli edifici di proprietà dei privati cittadini che scelgono di partecipare e trasmettono le informazioni raccolte attraverso il Wi-Fi delle abitazioni stesse»» spiega Andrea Raimondi durante l’intervista in videoconferenza da Nottingham, dove sta portando avanti il suo dottorato in filosofia della scienza.
L’obiettivo del progetto, in ogni caso, non è quello di creare una struttura che concorra con quella istituzionale, ma di offrire uno strumento alternativo che permetta di completarla e mettere a disposizione in maniera assolutamente libera i dati. «L’uso delle informazioni rilevate in questo modo possono permettere all’amministrazione di liberare risorse, sia in termini di tempo, sia economiche, per dedicarle ad altro. «Per esempio a costruire modelli predittivi che consentano di gestire meglio il fenomeno» spiega Andrea. In questo senso, i responsabili del progetto stanno avviando una collaborazione con l’Ispra (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) di Venezia, che potrà utilizzare i dati per migliorare la sua conoscenza del fenomeno. I sensori utilizzati in questa fase del progetto sono piuttosto costosi, circa 700 euro per metro, ma l’utilizzo di strumenti così sofisticati non è indispensabile. «Questi dispositivi sono normalmente utilizzati in ambito industriale» prosegue Andrea «e sono stati messi a disposizione gratuitamente da Eraclit, la società che li produce, allo scopo di sperimentarne l’utilizzo in ambiti diversi».
Il vantaggio principale che offrono è quello del bassissimo consumo energetico: mentre i normali sensori richiedono una batteria che deve essere cambiata ogni 2 mesi, i sensori adottati da Acqualta sono alimentati da un pannello solare e, anche se questo smettesse di funzionare, avrebbero un’autonomia di un anno. Dei 15 sensori disponibili, per il momento ne sono stati installati solo 4, ma i risultati sono già ottimi. Comparando i dati raccolti da Acqualta con quelli “ufficiali” del Centro Maree, i responsabili del progetto hanno potuto verificare che il livello di precisione è pressoché identico. L’utilizzo di sensori meno precisi (e più economici) non sarebbe un problema. «Quelli che usiamo hanno una definizione di un centimetro, ma di fronte a un fenomeno come l’acqua alta sarebbe più che sufficiente anche una definizione inferiore» precisa Andrea. Anche in questa fase, comunque, tutto il sistema richiede un dispendio di energie e soldi pubblici decisamente inferiore ai sistemi di rilevamento tradizionali, non fosse altro che per la manutenzione.
Quello che sta davvero a cuore ai civic hacker come Luca e Andrea è il processo che sta dietro il progetto, partendo dall’idea di trovare una soluzione comune a un problema comune. Insomma: l’obiettivo è far partecipare i cittadini coinvolgendoli in prima persona, con un impegno minimo, nella realizzazione di un servizio che ha un interesse collettivo. Una declinazione ben più avanzata di quel concetto di “Smart City” che troppo spesso rimane una parola vuota. «Quando si parla di Smart City, si finisce per dare valore solo alla quantità di tecnologia impiegata» sottolinea Andrea, «mentre dovremmo concentrarci di più sul modo in cui viene impiegata». Una filosofia che si affianca al concetto di Civic Hacking, in cui la figura dell’hacker non ha tanto a che fare con l’attività di programmazione, quanto con la messa a disposizione di una qualsiasi professionalità in un ambito condiviso con gli altri.
Il valore del progetto, però, va oltre quello del semplice impegno civico e ha ricadute molto pratiche. Tutti i dati raccolti dai sensori di Acqualta (le rilevazioni avvengono ogni 2 minuti) sono infatti pubblicati sia in tempo reale sul sito e su Twitter, sia in un database in Open Data al quale può accedere chiunque. In questo modo le informazioni sui livelli della marea veneziana possono essere utilizzati da ricercatori indipendenti o impiegati per realizzare servizi utili ai cittadini, ad esempio con la creazione di un’app che permetta di sapere in tempo reale quali sono i punti della città “più asciutti” per muoversi con meno problemi durante i fenomeno dell’acqua alta.