“Siamo un Paese straordinario e bellissimo, ma allo stesso tempo molto fragile. È fragile il paesaggio e sono fragili le città, in particolare le periferie dove nessuno ha speso tempo e denaro per far manutenzione…”.

E’ questo il tema di ordine generale su cui si basa l’esame di maturità di quest’anno. E’ una frase estrapolata da un più complesso intervento di Renzo Piano, architetto di fama internazionale e senatore a vita della Repubblica apparso su il Sole 24 Ore e che continuava: “Ma sono proprio le periferie la città del futuro, quella dove si concentra l’energia umana e quella che lasceremo in eredità ai nostri figli. C’è bisogno di una gigantesca opera di rammendo e ci vogliono delle idee. […] Le periferie sono la città del futuro, non fotogeniche d’accordo, anzi spesso un deserto o un dormitorio, ma ricche di umanità e quindi il destino delle città sono le periferie. […] Spesso alla parola «periferia» si associa il termine degrado. Mi chiedo: questo vogliamo lasciare in eredità? Le periferie sono la grande scommessa urbana dei prossimi decenni. Diventeranno o no pezzi di città?”.

Spero che molti studenti si cimentino a rispondere alla domanda di Piano. I giovani guardano naturalmente al futuro e viaggiano molto. Sicuramente non sfugge loro che possiamo purtroppo vantare rispetto agli altri paesi europei le periferie più vaste e contemporaneamente più brutte. L’Ispra, istituto pubblico di ricerca ambientale ha di recente concluso un report che mette a confronto quanto suolo è coperto da cemento e asfalto in Italia con i paesi europei. L’Italia ha trasformato il 9,2% dell’intera superficie nazionale. In Europa lo stesso indice è di circa la metà. Abbiamo consumato il doppio del suolo agricolo perché abbiamo cancellato ogni regola. Attraverso i tre condoni edilizi (Craxi 1985; Berlusconi 1994 e 2003) e il piano casa fortemente voluto da Berlusconi e da tutte le Regioni a prescindere dal loro colore politico, abbiamo abdicato al governo delle città lasciandole in mano alla speculazione. Ha ragione Piano, dunque, abbiamo periferie troppo grandi.

Ma i nostri guai non finiscono qui. Le nostre periferie sono le più disordinate e meno ricche di servizi pubblici di trasporto, per l’istruzione, per lo sport o sociali. E qui torniamo alla traccia del tema, laddove afferma “sono fragili le città, in particolare le periferie dove nessuno ha speso tempo e denaro per far manutenzione”. E’ vero. Non abbiamo investito risorse nella bellezza e nei servizi pubblici; abbiamo cioè creato luoghi invivibili in netto contrasto con la straordinaria bellezza dei nostri centri antichi che sono, come noto, uno dei vanti della cultura italiana. Qualcuno dirà che il motivo è che non ci sono i soldi, il solito refrain che canta la banda criminale che si è impadronita della cassaforte del paese.

Per le Grandi opere che scandiscono ormai giornalmente le cronache giudiziarie i soldi infatti ci sono, eccome se ci sono. Per il pacchetto delle opere strategiche, dal Mose di Venezia alla ferrovia Torino-Lione, sono previsti circa 100 miliardi di euro. Inutile ricordare che molte di quelle opere sono inutili e che il loro costo è gonfiato dal malaffare che imperversa. Il “piano città” varato dal governo Letta prevedeva di spendere 1,5 miliardi per tutti gli oltre ottomila comuni italiani. Non abbiamo i soldi per le nostre periferie perché non chiudiamo il rubinetto della grandi opere inutili che alimenta corruzione e malaffare.

Un motivo in più, spero, perché il tema sia scelto dai giovani. E’ solo ribaltando il bilancio dello Stato che essi potranno avere la speranza di avere un futuro. Altrimenti l’Italia continuerà ad affondare nella palude della mala politica e delle lobby.

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