L’ultimo approdo a Lampedusa è avvenuto il 16 giugno, all’esordio dei mondiali di calcio. Erano 315 migranti, in gran parte eritrei e somali. Uomini e donne fortunati perché arrivati vivi, sani e salvi. Non come i loro fratelli e le sorelle che qualche giorno prima erano morti in prossimità delle coste libiche. Ma, pur sopravvissuti, ben difficilmente qualcuno di loro diventerà un mito nazional popolare come Balotelli: molti di loro si disperderanno in Europa, alcuni studieranno e faranno la loro strada, altri accudiranno i nostri anziani, andranno a lavorare nei campi agricoli; altri ancora finiranno nelle braccia della criminalità. I mondiali – dice Zucconi su Repubblica – sono un miracolo prodotto dal dio Pallone, hanno un potere candeggiante, rendono bianchi i giocatori neri. Li rendono eroi di tutto un paese, anche di quelli che dei neri hanno paura. I mondiali di calcio hanno una funzione catartica che crea un’identità collettiva aperta anche a chi l’attraversa palleggiando, che ci fa sentire italiani per 90 minuti. E quando quelli di pelle nera, nerissima, segnano per noi diventano eroi, miti.
Gli ultimi mondiali prima di questi li ho visti a Nardò, lavorando come volontario in un campo di accoglienza per lavoratori braccianti dal quale è partito il famoso sciopero dei lavoratori autorganizzati contro i caporali. Di quei giorni ricordo la tensione nelle nere notte pugliesi, le decine di mosche sul viso che la mattina ti svegliavano, e il maxi schermo di fortuna che riuscimmo ad allestire con un proiettore trovato da amici. Quattro anni dopo non è cambiato quasi nulla, se non il fatto che quei lavoratori sono tornati a dormire sotto gli ulivi, soli, nell’indifferenza generale, ricattati dai caporali. Di quelle serate mi rimane il ricordo di come i lavoratori braccianti guardavano giocare i propri beniamini, i propri eroi e tifavano per gli azzurri.
Pensavo quattro anni fa – e lo penso tutt’ora – che eroica è anche la loro vita, che le loro storie di dignità non dovrebbero cadere nell’oblio ma, al contrario, dovrebbero essere raccolte e diventare “mito” per una società accogliente e capace di vera integrazione. Quelle sensazioni mi sono tornate in mente in queste ore qui a Lampedusa, quando al Molo Favarolo sono stato in mezzo a centinaia di migranti, uomini donne e bambini in attesa del futuro. Molti di loro indossavano le magliette con i nomi di chi in questi giorni gioca in Brasile. Ma per me i veri campioni erano loro che le indossavano. Campioni che dribblano i deserti, che saltano le onde, che scartano guerre e razzismo, senza paura. Sino ad ora, il gol più bello dei mondiali – lasciatemelo dire – lo hanno segnato loro.