La Commissione Ue ha aperto una procedura d’infrazione contro l’Italia perché ritiene che nella pratica non applichi correttamente la direttiva Ue sul ritardo dei pagamenti da parte della pubblica amministrazione. Le imprese infatti non vengono pagate a 30-60 giorni, come previsto dalle regole europee, ma in media a 170. Con ritardi che arrivano quindi fino a quasi cinque mesi. La decisione di inviare a Roma la lettera di messa in mora è stata presa su proposta del commissario all’Industria – nonché vicepresidente della Commissione – Antonio Tajani. Ma il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, l’ha subito definita “incomprensibile”: “Sono francamente sorpreso”, ha detto dopo aver presentato il il pacchetto competitività con la collega allo Sviluppo economico Federica Guidi. “Se c’è una cosa che è stata fatta è una decisa spinta proprio ai pagamenti delle pa”, ha ricordato riferendosi alle norme ad hoc contenute nel Dl Irpef. Padoan ha anche sottolineato che Tajani è un commissario uscente. Entro fine mese, infatti, lascerà il ruolo per iniziare il mandato da europarlamentare.
Tajani, da parte sua, ha risposto che “è palese che l’Italia è il peggior pagatore d’Europa”. La procedura di infrazione è stata dunque quasi un atto dovuto: “Avrei violato io il mio dovere di commissario se non fossi intervenuto”. Quanto alle misure del decreto legge per la riforma della Pa in via di conversione in Parlamento, “sono già state valutate e sono insufficienti a rispondere alle contestazioni” della lettera di messa in mora. “Non è una questione di governo ma di gente che perde il lavoro”, ha ribattuto. “L’obiettivo non è sanzionare l’Italia ma far sì che paghi i debiti alle imprese che altrimenti chiudono”. Quanto al testo del dl del governo, “non ha nulla a che vedere con il problema del ritardo dei pagamenti perché serve solo a sostenere la fatturazione elettronica, cosa positiva, e a sanzionare le imprese che rifiutano di certificare il ritardo”, ma questo “non risolve il problema dei pagamenti in ritardo perché non sana la ferita che c’è”. E’ quindi una “legge che io considero positiva ma che non serve a risolvere il problema”, ha aggiunto il commissario, affermando di avere mantenuto nei confronti della questione debiti della pa “la stessa posizione con i governi Berlusconi, Monti, Letta e Renzi”.
I debiti vantati dai privati nei confronti delle amministrazioni pubbliche ammontavano, ai tempi del governo Monti, a circa 98 miliardi di euro. Il decreto 35, convertito in legge nel giugno 2013, ne ha accelerato il pagamento stanziando 40 miliardi per il biennio 2013-14, pari a quasi 2,5 punti percentuali di Pil. Il governo Letta, poi, ha messo sul piatto dei pagamenti previsti per il 2013 altri 7,2 miliardi, senza ridurre quelli attesi per il 2014. Complessivamente lo Stato ha quindi messo a disposizione, al 31 dicembre 2012, 47 miliardi da esaurire in 12 mesi. Ma, stando agli ultimi dati del ministero del Tesoro, risalenti al 28 marzo scorso, ne sono stati pagati solo 23,5. Confindustria calcola che rimanga ancora da versare una cifra vicina a 75 miliardi. Giorgio Squinzi lo ha ribadito lunedì scorso, parlando di “risultato che non ci fa urlare di gioia”.
Quanto ai tempi, la Pa italiana secondo le informazioni della Commissione impiega in media 170 giorni per pagare le imprese che forniscono loro beni e servizi e 210 giorni per saldare il conto dei lavori pubblici. “Sei volte oltre il limite europeo”, ha sottolineato Tajani. Non solo: un altro punto dolente su cui si è concentrata l’attenzione di Bruxelles è l’ammontare dei tassi d’interesse di mora riconosciuti sui pagamenti effettuati in ritardo. Tassi che risultano inferiori a quelli previsti dalla direttiva Ue, cioè l’8% oltre il tasso di riferimento fissato dalla bce. Inoltre, altre Pa ritardano i rapporti sull’avanzamento dei lavori in modo da dilazionare anche il pagamento alle imprese.
La lettera di messa in mora, inviata a quanto si è appreso anche al governo della Slovacchia, è il primo passo della procedura d’infrazione. Il governo italiano ha ora due mesi di tempo per rispondere, e se le informazioni fornite non saranno ritenute sufficienti la Commissione, constatando a quel punto la violazione delle norme Ue, invierà un parere motivato.