Edoardo Boncinelli, genetista del San Raffaele di Milano, critica la scelta del Ministero: "l termine pervasività ha una valenza negativa, come se si trattasse di una metastasi". Enrico Flamini, docente di planetologia all’Università di Chieti: "Segno che l’Italia è ancora pervasa dalla distinzione tra cultura scientifica e umanistica"
Non sembra piacere molto agli scienziati il tema scelto dagli esperti del Miur per la traccia tecnico-scientifica della prima prova di maturità, “La tecnologia pervasiva”. Le critiche si concentrano sull’accostamento del termine “pervasivo” a tecnologia. “Personalmente avrei scelto l’espressione attualità della tecnologia, al posto di pervasività – commenta a caldo Edoardo Boncinelli, genetista del San Raffaele di Milano, tra gli autori selezionati dal Ministero lo scorso anno con un brano dal titolo “La vita della nostra mente”. “È un segno che l’Italia è ancora pervasa dalla distinzione tra cultura scientifica e umanistica, un modo di pensare che ci ha sempre danneggiato”, gli fa eco Enrico Flamini, docente di planetologia all’Università di Chieti.
Tra i brani scelti dal Ministero per illustrare la pervasività della tecnologia un articolo tratto da un numero dell’Espresso di febbraio, a firma Fabio Chiusi, dal titolo “Trans Umano la trionferà”, in cui si parla di “esseri umani 2.0” e si afferma che “la Silicon Valley ha la sua religione” e che “progetti di superamento dell’umano nel postumano si devono e possono realizzare tramite la tecnologia. Come con le nanomacchine, robot grandi come virus in grado di riparare le cellule cancerose e permettere l’eliminazione di ogni forma di sofferenza e la sconfitta dell’invecchiamento e della morte”. Espressioni che fanno subito storcere il naso a Boncinelli. “Si sente una nota nostalgica, passatista, che non amo. Il termine pervasività ha una valenza negativa, come se si trattasse di una metastasi. Dal punto di vista degli studenti, tuttavia – aggiunge il genetista del San Raffaele – è una scelta che offre un ampio ventaglio di possibilità e permette di parlare molto, per esempio sia dei progressi che dei rischi associati allo sviluppo delle tecnologie, senza il pericolo di uscire fuori tema. E persino di parlare bene di tecnologia, anche se forse l’estensore non aveva questa intenzione”.
In un altro brano, un articolo di Massimo Gaggi del Corriere della Sera di gennaio, si parla di civiltà dei robot che “sembrava destinata a restare nei libri di fantascienza e invece sta entrando nelle nostre vite”, e di “robot che stanno uscendo dalle fabbriche”. Nel brano si cita l’esempio del bancomat, “un bancario trasformato in macchina, in servizio notte e giorno”. Si aggiunge che “in molti supermercati il cassiere non c’è più, sostituito da sensori”, e che ormai “si moltiplicano treni e metropolitane guidati da computer, come la nuova linea 5 di Milano”. I robot sono quindi considerati sempre meno “utili idioti”, come ama definirli Lord Martin Rees, docente di astrofisica dell’Università di Cambridge e astronomo della Regina, secondo il quale “i robot non dovrebbero svolgere mestieri intellettuali complessi, ma lavorare in ambienti proibitivi per l’uomo, come piattaforme petrolifere o centrali in avaria con perdite radioattive”.
“Da scienziato – sottolinea Flamini – giudico negativamente questa scelta. Rappresenta, infatti, la spia di un disadattamento di una generazione che non è abituata alle macchine. Uomo e macchina sono termini sinergici, due facce della stessa medaglia, e lo dimostra l’esplorazione spaziale. Quando le macchine sbagliano, infatti, è perché è l’uomo, a monte, ad avere commesso errori. Spesso – aggiunge lo studioso – si tende a dimenticare che fino alla fine dell’Ottocento la differenza tra filosofo e scienziato non esisteva”. Uno dei problemi, secondo Boncinelli, è nel livello di preparazione scientifica fornita dal sistema scolastico italiano agli studenti e nello stesso modo di valutarne la preparazione. “Se dipendesse da me – spiega Boncinelli – farei direttamente l’ammissione all’università e abolirei la maturità, considerata un rito di passaggio. Ma proprio questo tipo di riti – sottolinea lo scienziato milanese – sono tipici delle società primitive. Del resto, il livello di preparazione fornito agli studenti non è elevato: abbastanza fisica, poca chimica e zero biologia”.
Le statistiche internazionali sembrano dare ragione allo studioso del San Raffaele. Secondo l’ultimo rapporto Pisa (Program for international student assessment), il programma dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo europeo (Ocse) che valuta ogni tre anni in tutto il mondo le competenze degli studenti di 15 anni in matematica e scienze e la loro capacità di lettura, gli studenti italiani non brillano particolarmente nelle discipline scientifiche. L’indagine datata dicembre 2012, che ha visto coinvolti 510mila studenti di 65 Paesi, colloca l’Italia solo al 32esimo posto, con un punteggio inferiore alla media europea in tutti e tre i campi.
In particolare, in matematica il punteggio degli studenti italiani è 485, contro una media europea di 494, ma in crescita di 19 punti rispetto a dieci anni fa, e in scienze di 494 contro 501, con una riduzione di 6,6 punti tra il 2006 e il 2012. Si conferma, invece, il divario tra Nord e Sud, con Sicilia e Calabria ultime in graduatoria tra le regioni. “Negli studenti italiani c’è un rinnovato interesse nei confronti delle materie scientifiche – spiega Flamini -. Ma la preparazione è minore, a macchia di leopardo e dipende spesso dalle motivazioni dei singoli professori. Se non superiamo questa percezione errata di guardare a due culture, umanistica e scientifica come se fossero distinte e antagoniste – conclude lo scienziato romano – resteremo indietro come Paese rispetto alle altre Nazioni più progredite tecnologicamente”.